Starebaby, heavy metal (jazz) kidz

“A puncher’s chance”: pochi accordi di chitarra acustica e si viene trasportati in un vortice elettrico spigoloso ed ispido, attenuato solo in parte dalle note di un pianoforte.

“Depredation”: il drumming secco ed implacabile cadenza un groove condotto da un’acida chitarra, che gradualmente si rinforza con l’aiuto dell’elettronica in un clima teso ed inquieto culminante in un fragoroso fuoco elettrico.

“Annica”: un’epica ballad condotta dalle tastiere e conclusa su risonanti bordate chitarristiche.

Che ci fa su Traccedijazz un disco del genere? Si è forse confuso il blog con quello dei sanguigni seguaci del metallo più devastante, fuso da Metallica o Meshuggah o, ad essere benevoli, dell’apocalittico prog dei King Crimson ? Niente paura, nessun errore, basta citare i nomi dei protagonisti di questo “Starebaby”, pubblicato da PI recordings nel 2018 ed apprezzato trasversalmente da critica e pubblico: il batterista Dan Weiss, il chitarrista Ben Monder, il bassista Trevor Dunn ed i tastieristi Craig Taborn e Matt Mitchell. Come dire, alcuni dei nomi di maggior spicco della scena jazz d’ avanguardia statunitense in “libera uscita” per un’opera che , recuperando un’antica passione di Weiss per il doom metal, un tempo dietro i tamburi nella band Bloody Panda, mette a fattor comune la propensione per le tinte forti e metalliche spesso utilizzate nelle rispettive carriere ufficiali (Weiss con John Zorn, Dunn con Mr Bungle e Fantomas) e la trasporta in un ambito diverso, una terra di nessuno dove l’improvvisazione e la creatività del jazz (gli incastri elettroacustici ed il pianoforte di “Veiled”), possono convivere con riffs e progressioni gargantueliche del linguaggio heavy rock (“The memory of my memory”). Insieme a quelle citate, ed alle ovvie ascendenze di un alchimista metal jazz come John Zorn, un’altra fonte di ispirazione del progetto proviene dal mondo cinematografico, in particolare quello del regista David Lynch e del suo Twin Peaks, le cui atmosfere intrise di surreale mistero, informano molte composizioni del disco come la sospesa “Cry box” o la autoreferenziale “Badalamenti”, omaggio al compositore del soundtrack di quella famosa serie televisiva.

Da poche settimane Starebaby, nel frattempo assunto quale ragione sociale della band, ha prodotto un nuovo capitolo, “Natural selection” (Pi Recordings) che ripropone quella pozione heavy metal jazz spesso più inquietante che violento, magniloquente ma strutturato con perizia ingegneristica, aggiustandone ulteriormente i confini. Se il primo album si concludeva con l’ esuberanza ritmica e le chitarrone alternate ad oasi statiche di “Episod 8”, il nuovo capitolo riparte con “Episod 18”, un altro quarto d’ora circa di pirotecnici riff separati da momenti di colore ambientale sempre inquietante e minaccioso. Si prosegue fra spazi psichedelici (“Dawn“), le continue variazioni ritmico armoniche di “The long diagonal”, con debiti della sei corde di Monder a Frank Zappa ed un finale che diventa improvvisazione jazz su base ritmica rock, i pianoforti ambient di “A taste of memory”, parentesi intorno ad un nucleo di elettricità, l’utilizzo “compositivo” della batteria ed i suoi dialoghi con i pianoforti (Bridge of trust, Head wreck), in un gioco che rimane interessante ma comporta applicazione più che volonterosa, considerata  la durata complessiva (circa 80 minuti) e l’estensione di alcuni brani ben oltre i dieci minuti . Meno impetuoso del primo disco, “Natural selection” pare proteso nel tentativo di forgiare, tramite la composizione di dinamiche antitetiche (distorsioni e spazi acustici affidati ai pianoforti)  e linguaggi agli antipodi, (heavy metal e jazz) un’ identità paradossalmente più stabile. Perdoneranno i puristi, ma (alcuni) musicisti jazz fanno anche questo.

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