Gianni Lenoci Trio – “Wild Geese”

In che modo si racconta un disco come “Wild Geese”?

Basterebbe dire che l’ultima opera di Gianni Lenoci, pubblicata da Dodicilune, involontario e tragico testamento di un artista scomparso prematuramente poco più di un anno fa, è composta per intero da riletture di Carla Bley, Ornette Coleman e Gary Peacock. Basterebbe, per apprezzare questa musica registrata nel 2017 con Pasquale Gadaleta al contrabbasso e Bob Moses alla batteria, quale dichiarazione di piena appartenenza del suo autore al mondo della musica creativa o libera dalle forme, che accomuna gli autori citati a molti altri, ad esempio Paul Bley e Paul Motian. Ma non sarebbe sufficiente parlare di free jazz, per fornire un’indicazione utile a chi voglia avvicinarsi a questo disco, come non lo è per definire la musica di Gianni Lenoci. Sembra allora necessario, per restituire tramite le parole qualcuna delle emozioni scaturite dall’ascolto, cercare di descrivere il modo nel quale questa musica è organizzata ed interpretata.

Parlare, ad esempio, del pudore (viene da definirlo così) o della faticosa emersione riservata da Lenoci agli splendidi temi delle composizioni di Coleman o della Bley, dopo il gioco di dialoghi e soliloqui, pieni e vuoti, luci ed ombre, che precede o segue la parte melodica. Ascoltate, al proposito, come il pianista di Monopoli riesca a mantenere intatta la trama solare di “Latin genetics” scavando sotto la sue superficie, o a far cantare la poesia racchiusa nelle poche note della conclusiva “Ida Lupino“. Ma occorre anche riferire del dialogo fra i tre musicisti, che spesso produce sviluppi espressivi estemporanei, riprese in diretta di una conversazione che si intuisce essere stata coinvolgente e fitta di spunti di confronto.

Pasquale Gadaleta, Gianni Lenoci, Bob Moses

E citare, magari, il cuore centrale del disco, costituito da tre brani (“Vashkar” e “Olhos de gato” di Carla Bley e “Sleep talking” di Ornette), che assommano circa trenta minuti, una vera traversata in un turbinoso universo sonoro ed emotivo. Oppure partire dall’inizio, dal tema con il quale il disco ci accoglie, “And now the queen” così essenziale ed evocativo, seguito da una “Job Mob“movimentata da un tumultuoso contrabbasso. O ancora, suggerire, con cautela, l’immersione fra gli spigoli ed i frammenti di “The beauty is a rare thing” . Ogni ascolto di “Wild geese” potrà svelare particolari inediti non colti la volta precedente, e, a seconda della prospettiva , della predisposizione o dell’umore del momento, si uscirà dall’esperienza affascinati, stupiti o forse anche turbati.

Certamente, però, commossi da momenti di pura bellezza, come il finale di “Sleep talking“, quando il tema accennato con un fischio sembra la cornice ideale per una comparsa, fra le nebbie del sonno, di un signore in abito variopinto con un sassofono che pare di plastica.