THELONIOUS MONK – Live At The Palo Alto High School 1968 – Impulse!
Altro giro, altro regalo. Continuano con cadenza sempre più regolare i “formidabili ritrovamenti” di materiale inedito di giganti del jazz, in questo caso si tratta di una registrazione piuttosto di fortuna, ma sapientemente risistemata, del quartetto storico di Monk, in azione presso l’aula magna di un Liceo californiano di Palo Alto, nell’assai infuocato anno di grazia 1968.
Il disco ha suscitato un certo scalpore grazie all’intelligente fuoco di fila redazionale diretto da Zev Feldman, grandioso cane da tartufo in casi come questi, consentendo di riportare Monk sulle copertine dei magazine specializzati di tutto il mondo e ponendolo, invero un po’ spericolatamente, al centro d’una serie d’avvenimenti ed istanze sociali del periodo, tirando in ballo insieme al magico anno “1968” che ancora provoca frissons nei reduci, l’uccisione di Martin L. King e altri incroci temporali che di certo non riguardarono più di tanto un tipo come Monk, piuttosto refrattario ad ogni news ed abitante solitario di un fantasmagorico mondo personale. In termini generali ci abbiamo fatto il callo, e chissà quanti live ed inediti perduti o dimenticati nei cassetti salteranno fuori ancora senza la benchè minima possibilità degli artisti in questione di metterci mano, approvandone o negandone la pubblicazione. Questo concerto ha comunque un’indiscussa valenza documentale e, quel che più conta, coglie il quartetto in una serata di vena, infatti è un piacere per i jazzfan di ogni latitudine ascoltarlo in azione, soprattutto per il magnifico lavoro di un grande sottovalutato del sassofono come Charlie Rouse, ad avviso di chi scrive il protagonista dell’incisione, ma in definitiva il Live non aggiunge un’oncia in termini di peso specifico alla discografia monkiana, che proprio nel 1968 s’arricchì dell’ultimo disco rilevante, “Underground”, quello che lo ritraeva nella celebre copertina conciato da ribelle in cantina, mitra a tracolla ed ufficiale nazista imprigionato, in un discusso tentativo d’accreditarlo presso un pubblico “alternativo”.

Tornando al disco ed al concerto, edito in una spettacolare versione in vinile, la band distribuisce scintille in una set-list di vibrante classicità monkiana: apertura con l’angolare “Ruby My Dear” cui segue una robusta, ed un filo prolissa, versione di “Well You Needn’t”, e ancora una magnifica “Dont’ Blame Me” in solitario, poi “Blue Monk” e la canonica sigla di chiusura: “Epistrophy”.
Il bis è un ninnolo lucente: giusto un minuto di purissimo Monk con le note stride di “I Love You Sweetheart of All My Dreams” che sciolgono l’auditorium e anche noi induriti appassionati, scettici ai miracoli ma pronti ad ascoltare, mezzo secolo dopo, con riverita, monastica devozione.
(Courtesy of AudioReview)
In questa folla di ‘edizioni storiche’ io però distinguerei nettamente due filoni, con platee sensibilmente diverse.
Il primo è quello delle varie registrazioni ‘live’, di livello tecnico oscillante e spesso riscattato solo dalle tecnologie audio odierne: salvo il raro caso di formazioni mai passate in studio di registrazione, direi che queste uscite riguardano più che altro collezionisti e strenui fan del musicista o della formazione interessati. L’interesse sta principalmente nel vedere lo scarto spesso esistente tra le performance davanti ad un pubblico ed affrancate dall’impronta di produzione rispetto alle registrazioni ufficiali.
Il secondo filone è quello degli album realizzati in studio e quasi sempre completamente rifiniti ed approvati dagli artisti, che viceversa sono rimasti negli scaffali delle case discografiche. Molto spesso questa archiviazione era anche dovuta a semplice saturazione del mercato, sovrapposizione ed interferenza con uscite successive, grane contrattuali etc. Trattandosi di opere compiute e realizzate con standard professionali, qui l’interesse è maggiore anche per un pubblico ampio: spesso il valore artistico è molto elevato, l’accantonamento all’epoca dipendeva talvolta da scelte di produzione che vedevano in questi lavori esperimenti troppo avanzati per la capacità di ricezione del pubblico del tempo, o scostamenti troppo marcati dall’immagine pubblica consolidata degli autori. In ogni caso, considerate le lacune dei cataloghi fisici odierni anche su autori di importanza capitale, possono essere anche una buona occasione di conoscenza per neofiti. Temo però che questo filone sia in via diesaurimento, nonostante le numerose sorprese degli ultimi anni. Milton56
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