Correva l’anno di grazia 1964. In una Berlino assediata ed attraversata dal Muro (allora si poteva ancora parlarne al singolare), in una città in bilico tra due mondi, nasce un festival jazz (guarda caso…). E le Berliner Jazztage nascono bene, se non sbaglio nell’edizione inaugurale era presente Martin Luther King che rivolse al pubblico un breve discorso sul valore della musica afroamericana che passerà agli annali. Dietro le quinte lavora poi Joachim Ernst Berendt, uno dei grandi uomini del jazz, autore del celebre ‘Jazzbuch’, critico, programmatore radiofonico, produttore discografico ed appunto promotore di concerti. Sin dall’inizio la manifestazione viene robustamente sostenuta dalle emittenti televisive e radiofoniche nazionali, che contribuiranno non poco alla sua reputazione e soprattutto alla memoria della moltitudine di musicisti che passeranno sui suoi palchi: anche molti celebri album nasceranno qui, come si vede sotto.

Passano 56 anni, e giunge questo sciagurato 2020. Ma a Berlino – dove si sta un po’ meno peggio di noi – non ci si dà per vinti, ed in barba alla sostanziale impossibilità di trasferte transoceaniche ed alla dolorosa necessità di rinunziare alla presenza del pubblico, la JazzFest (nel frattempo ha cambiato nome) migra armi e bagagli sul web. Non solo, ma il Festival si ‘clona’: oltre agli spazi berlinesi, si aggiunge il club Roulette di New York da cui suoneranno i gruppi impossibilitati a muoversi dagli States.

Quasi una favola, dati i tempi che corrono… Il cartellone è di altissimo livello, e soprattutto sulla sponda americana offre un’immagine molto ampia di quello che emerge sulla scena internazionale. Scegliendo qui e là, Anna Webber ed il suo settetto, Lakecia Benjamin, Jim Black con due formazioni diverse, Thomas Fujiwara Triple and Double, l’enfant prodige del vibrafono Joel Ross reduce da un’ottima seconda prova discografica, Alexander Hawkins & Siska (una complessa performance multimediale), Ingrid Laubrock & Kris Davis, ed infine una novità per me molto intrigante: il nuovo trio di Craig Taborn con Mary Halvorson e Ches Smith. Ma c’è molto altro, ovviamente attinto dalla scena tedesca.

Alle nostre latitudini questa stupefacente capriola organizzativa rimarrà purtroppo un miraggio inimitabile: infatti la manifestazione berlinese è sostenuta da risorse organizzative e soprattutto tecniche distanti anni luce da quelle mobilitabili da noi. A parte che non vedo proprio una delle nostre fondazioni liriche ad impegnarsi nel lavoro che il Berliner Festspiele fa per un festival jazz (“…musica di strada”), questa edizione virtuale della JazzFest è supportata e diffusa in America dalla WBGO, mitica radio pubblica di New York fondata nel 1947 che ha una colonna musicale quasi esclusivamente jazz. Il media partner europeo è invece niente popo’ di meno che ARTE TV, l’emittente televisiva franco-tedesca che ormai da decenni è un punto di riferimento nel campo della produzione multimediale culturale di alto livello: il fatto che in Italia non esista nulla del genere la dice lunga sulla situazione del Belpaese…..

Accantoniamo le recriminazioni, e consoliamoci con il sito web di ARTE, che nella sezione Concert (con l’occasione, esploratela un po’…..) consente per alcuni mesi a venire di assistere in streaming a gran parte della programmazione del festival, sia con video che coprono le intere singole giornate, sia con quelli dei singoli concerti. Nel caso di specie e considerato il livello tecnico delle riprese audio-video, beati i possessori di smart tv; comunque per tutti, anche per dispositivi di minori pretese, l’indirizzo di questo piccolo tesoro è qui sotto. Buona visione, e che il rattoppato web italiano non vi tradisca. Milton56