Noi qua dentro. Le piccole onde del nuovo jazz italiano.

Vidi dal vivo Paolo Fresu la prima volta durante il mio servizio militare in Sardegna nel 1988, in un piccolo locale di Quartu S. Elena. Stefano Bollani lo conoscevo già all’epoca dei primi dischi con l’Orchestra del Titanic quando ebbi la casuale occasione di assistere ad un suo piano solo all’Auditorium del Parco della Musica di Roma nei primi anni 2000, quando il medley finale a richiesta non era ancora, nei suoi concerti, un’ abitudine così consolidata. Da allora ad oggi ho continuato a seguire la carriera e le opere dei due artisti, con alterno apprezzamento ma immutato interesse, ed ancora oggi che i due sono assurti allo status dei più conosciuti esponenti del jazz in Italia, continuo ad ascoltare le loro musiche nuove o meno nuove. Credo, però, che per entrambi, toccata la vetta della popolarità, dal punto di vista artistico la parabola non preveda significativi incrementi e che, come già scritto in altre occasioni sia Fresu che Bollani abbiano manifestato, accanto alla musica altre collegate aree di interesse sul confine fra arte ed imprenditorialità. Capita così che il pensiero dell’appassionato ascoltatore, quale sono, torni periodicamente ad interrogarsi sui caratteri della realtà nazionale per delinearne i confini, cercarne i tratti comuni, se vi fossero e , in una frase, capire se c’è “vita oltre Fresu e Bollani”.
Tributiamo la dovuta menzione per la statura artistica oltrechè per la indefessa attività di scoperta ed accompagnamento di nuovi talenti a Franco D’Andrea ed Enrico Rava, titolari di carriere ricche di momenti alti, e leader di gruppi nei quali sono cresciuti e maturati molti dei giovani musicisti delle generazioni successive, fra i quali lo stesso Bollani, ad esempio, a lungo al fianco del trombettista triestino.
E registriamo, con piacere, la consistenza di una fascia di jazzisti affermati, che hanno consolidato un’ autorevole fama nutrita dal consenso critico e dai successi di audience internazionale, che abitano diverse galassie dell’universo jazzistico, da quella mainstream ad altre meno identificabili, e spesso si dividono fra concerti, registrazioni e didattica: i nomi sono più che conosciuti, e spesso ricorrono nella titolarità delle cattedre nei vari conservatori o corsi di specializzazione sparsi per il paese.
Ma quello che qui interessa maggiormente è un tentativo di analisi, certo parziale ed incompleta, sul gruppo di musicisti di più giovane età, diciamo trenta/quaranta anni, che sta emergendo in modo più o meno evidente nel panorama musicale nazionale in qualche modo collegato al jazz. Non certo una nuova onda, come accade in Inghilterra, magari qualche piccolo increspamento nella superficie di un mare spesso piatto e liscio. Però meritevole di approfondimento, soprattutto quando si prova a stilarne i tratti comuni, i linguaggi condivisi, le analogie di pensiero musicale. E si approda a…nulla. L’unica caratteristica comune di questi musicisti sembra infatti essere proprio la libertà e la disinvoltura nell’abbinare le radici cresciute nel jazz ad una pluralità di altre fonti e suggestioni, dal rock all’elettronica, dal prog alla musica popolare, dalla classica alla contemporanea, superando l’approccio reverenziale ed accademico rispetto ai testi sacri della propria formazione e dosando la formula finale secondo ricette peculiari.
Spesso si mescolano in progetti comuni, nonostante la frammentazione del panorama nazionale e le difficoltà nella condivisione di una pratica live stabile e continuativa, ed in molti casi, magari, peccano per eccesso di complessità, per la voglia di stupire, ed è quando la loro musica diventa ostica e difficile da comprendere; ma, altre volte, sorprendono per la capacità di toccare le corde dell’emozione in modo semplice e naturale o con soluzioni imprevedibili.

https://mirkocisilino.bandcamp.com/album/effetto-carsico

C’è chi sostiene che si tratti più di un gruppo di amici o conoscenti che di una vera e propria scena, e quindi confiniamo ben bene quanto segue entro il perimetro dei pensieri di un ascoltatore, ma immaginare che le batterie di Enzo Carpentieri o Stefano Tamborrino, il clarino di Marco Colonna, il trombone di Filippo Vignato, i contrabbassi di Rosa Brunello e Federica Michisanti, le chitarre di Francesco Diodati, Maurizio Brunod ed Alberto N.A. Turra, i pianoforti di Enrico Zanisi e Simone Graziano, i sax di Francesco Chiapperini e di Simone Alessandrini, le trombe di Antonello Sorrentino, Mirko Cisilino e Andrea Paganetto, il vibrafono di Pasquale Mirra, (ma dalla redazione si fanno anche i nomi di Giampiero Locatelli, Giacomo Tantillo, Domenico Sanna) insieme ai molti, spero moltissimi, altri che per problemi di memoria o conoscenza diretta non riesco a citare, formino un ideale “cratere vulcanico” del jazz italiano contemporaneo ribollente e in costante fase di esondazione, resta comunque possibile.

Yellow Squeeds: Francesco Diodati, Francesco Lento, Glauco Benedetti, Enrico Zanisi, Enrico Morello
I loro dischi sono pubblicati da etichette che amano gettare lo sguardo al futuro, come Auand, Parco della Musica o Caligola, ma chi desiderasse farsi un’idea in modo più immediato può rivolgersi a bandcamp, il negozio virtuale a cui, pare, prima o poi tutti dovremo abituarci, perchè questa musica tende a prendere la via liquida e digitale piuttosto che quella dei supporti fisici. Altra affinità, non voluta, ma indotta dalle vicende emergenziali, è quella di trovarsi costretti ad inventare nuove modalità per le esibizioni dal vivo, che avvengono dalla camera o, quando va meglio, da uno studio attrezzato con riprese professionali, ma sempre diffuse sul web.
La Brownswood recordings del dj e produttore inglese della Bbc Giles Peterson ha documentato la nuova scena jazz inglese con l’acclamata antologia “We out here” (vedi https://traccedijazz.com/2019/10/01/noi-qua-fuori/), con Shabaka Hutchings e co. Se ci fosse un Peterson italiano lungimirante e pronto a documentare sulla propria etichetta questo panorama, abbiamo già un titolo da suggerire, con duplice allusione ai confini nazionali ed ai luoghi dove attualmente viene prodotta la musica : “Noi qua dentro”.

in copertina Storytellers : Simone Alessandrini sax alto e soprano, Antonello Sorrentino tromba, Federico Pascucci sax tenore e clarinetto, Riccardo Gola basso elettrico ed effetti, Riccardo Gambatesa batteria

3 Comments

  1. È la popolarità che li frega, almeno quei due e almeno secondo me, che credo senz’altro ci sia una vita… oltre. Conosco pochi nomi tra quelli che hai citato e ne avrei aggiunti altri, pochi, non tanto popolari ma neanche poco noti, e bravi. Trovesi, Gaslini (ma non è più tra noi), Pieranunzi, Marcotulli, Urbani (anche lui, muerto), Stilo, Colombo, Ghigliotti…

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    1. Cara Fa minore, i nomi che citi fanno parte di quella fascia di musicisti affermati a cui mi riferisco nel pezzo prima di dare spazio ai “giovani leoni” che sono al centro della trattazione. La lista degli elders è lunga, per fortuna,ma spesso hanno spazio sui media e sono ben conosciuti dagli appassionati. Per una volta volevo scavare un po’ oltre, dove credo ci siano protagonisti e musiche che meritano di essere conosciuti. grazie per il contributo.

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    2. Veramente, a mio modesto parere (che peraltro condivido, come diceva Bergonzoni), sono proprio i vecchi leoni quelli di cui non hai parlato. E non mi pare che abbiano molto spazio sui media. Comunque, grazie, mi sono annotata i nomi che hai segnalato (quindi, grazie a te), anche se il jazz italiano ha un sound che non mi piace molto e che riconosco lontano un chilometro.

      P. S. Lanfranco Malaguti? L’ho conosciuto personalmente e ho assistito ad alcune belle esecuzioni nello studio privato che aveva nella sua casa di montagna ad Auronzo. Certo, anche lui ha dovuto pagare certi prezzi…

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