MAURO OTTOLINI feat. FABRIZIO BOSSO – Storyville Story – (Casa del Jazz)
Umbria Jazz, col passare degli anni, ha visto il suo cartellone intristirsi in proposte sempre più estranee a qualsivoglia esperienza jazzistica, ricordiamo un nome su tutti a mo’ di perenne monito: i terrificanti ChainSmokers, o inserendo ritmiche jazz a sostenere esiziali cantautori in disarmo, per tacere di stelle di X Factor o protagonisti indie pop con carriera calante e cachet ingombrante, in un continuo ricambio di pubblico che ha visto molti jazz fans finire per disertare il Festival, rinunciando anche a molte chicche che il cartellone ha sempre e comunque mantenuto, sia pure puntando su nomi ripetuti per anni ad libitum.
Questo concerto, alle nostre orecchie di ex frequentatori degli spettacoli perugini, suona come una sorta di ex voto a cuoricino alle deità jazzistiche, con evidenti intenti riparatori. Mauro Ottolini continua una personale ricognizione in tale ambito (“Bix Factor” del 2012 inquadrava la scena bianca ispirandosi e rileggendo Beiderbeck, Whiteman e Woody Herman) avvicinandosi, con umiltà non disgiunta da un certo volonteroso senso didattico, ad altri capolavori, questa volta di sponda New Orleans, brani un tempo celeberrimi ed ora ritenuti fuori moda ed impolverati dal tempo, chiamando a sé per rievocare la storia del quartiere a luci rosse più musicale della storia un manipolo di jazzisti ferrati: Fabrizio Bosso, in primis, con cui forma una front line di grande efficacia, e poi Paolo Birro, scuola veneta, pianista d’innata eleganza ed assai esperto del repertorio, proprio come Glauco Benedetti al glorioso sousaphone, Paolo Mappa alla batteria e Miss Vanessa Tagliabue Yorke che ha affinato il suo talento vocale al fuoco della tradizione.
Nel dicembre del 2018 e poi nell’estate del 2019 il Teatro Morlacchi ha dunque vibrato come un bollente locale di Storyville per “Bourbon Street Parade” di Paul Barbarin, “Beale Street Blues” o “Atlanta Blues” di W.C. Handy e “Si Tu Vois Ma Mère” di Sidney Bechet. Il pianoforte solo di Paolo Birro cesella in tre minuti una brillante “The Crave” che rilegge Jelly Roll Morton in chiave moderna, la band lo raggiunge per un’intensa “St. Louis Blues”, una delle vette di un album e di uno spettacolo ben congegnato che evidenzia con naturalezza la forza di questi capolavori tratti da un repertorio senza tempo.
I nostri dèi, benedicenti, dovrebbero aver gradito…

(Courtesy of AudioReview)