A love supreme electric

Questo disco nasce da una, o meglio, da molte domande. La principale riguarda l’effettiva volontà di John Coltrane di considerare due parti di un’unica opera A Love Supreme (1964 ) e Meditations dell’anno successivo. Ma indagando questi capisaldi del jazz, i suoi autori si sono chiesti anche come sarebbe cambiata la musica del sassofonista di Hamlet se non fosse scomparso a 41 anni,  e se, magari, fosse stato possibile un avvicinamento alla psichedelia come concettualmente potrebbero far pensare i suoi ultimi lavori. Ed infine, se la tanto discussa collaborazione di Davis con Jimi Hendrix si fosse realizzata, ne sarebbe scaturito un risultato in linea con queste evoluzioni?

La risposta è contenuta in un’ora e tre quarti di musica imbastita da una band che dal capolavoro di Coltrane prende il nome aggiungendo l’aggettivo electric, diretta da Henry  Kaiser, chitarrista californiano di area avanguardista e composta dal sassofonista Vinny Golia,  il più anziano del gruppo, una lunga carriera di compositore e strumentista già a fianco di Anthony Braxton, Henry Grimes, Horace Tapscott, Tim Bern, John Zorn, e titolare dell’etichetta discografica Nine Winds, il batterista John Hanrahan, attivo sia in ambito jazz che nel rock psichedelico dei Greatful Dead ed Allman Brothers band, Wayne Edward Peet, pianista ed organista spesso collaboratore diNels Cline , ed il bassista Mike Watt già nella punk band Minuteman e poi titolare di una carriera che ha sviluppato le tendenze a debordare verso i più vari territori della band di origine.

I due capolavori di Coltrane sono ripercorsi per intero sui due Cd editi da Cuneiform Records, con l’integrazione nella suite di “Meditations” del frammento “Joy”, inciso in quartetto ed omesso nella versione pubblicata nel 1965 dal sestetto con McCoyTyner, Jimmy Garrison, Elvis Jones, Rashied Ali e Pharoah Sanders per la Impulse, e con due riprese di ciascuno dei pezzi iniziali “The father and the son and the holy ghost” ed “Aknowledgement”.  E’ interessante, prima di addentrarsi nella descrizione, per quanto possibile, del fumigante materiale musicale dell’opera, soffermarsi sulle spiegazioni di Kaiser circa l’origine e lo spirito di questa operazione.

 “Suonando con Wadada Leo Smith nella band Yo!Miles ho avuto l’opportunità di esplorare a fondo  la musica di Davis fin negli aspetti meno evidenti, e questa esperienza, insieme alle discussioni avute con il chitarrista di Miles dell’epoca, Pete Cosey, mi hanno aiutato molto a focalizzare  il mio modo di pensare a proposito della musica prodotta nel periodo elettrico di Miles. Quando iniziai a pensare alle due suites di Coltrane, decisi di applicare il metodo di pensiero ed analisi che avevo appreso dalla decodificazione della musica elettrica di Miles, E fui sorpreso di notare che c’erano molti punti in comune nascosti sotto la superficie fra quelle musiche. Sistemi indipendenti che si sviluppavano simultaneamente, piccoli semi che diventavano giantesche piante protese verso il cielo, ed una visione che andava oltre i confini conosciuti del jazz a quei tempi. Inoltre la musica di Miles tendeva a superare l’approccio afrocentrico per orientarsi verso pratiche musicali sciamaniche. Con questa consapevolezza, ho cercato di ascoltare attentamente lo spirito profondo di questa musica, senza paura di sconfinare nella radicalità che musicisti  come Pete Cosey, Mtume, Michael Henderson e lo stesso Miles avevano già varcato nei primi anni ’70, una radicalità innovativa come il free jazz  di Ornette Coleman, Sun Ra, Cecil Taylor, e l’ AACM. Quando affronto le suites di Coltrane, sento l’ispirazione derivante dal free jazz e dalla musica elettrica di quegli anni: sono indizi che orientano il movimento in questi territori pluri dimensionali in continua evoluzione”.

Quanto sopra per ciò che riguarda la portata “filosofica” delle reinterpretazioni delle due suites, che testimonia la perdurante capacità di questo materiale di influenzare chi ne venga a contatto anche a distanza di oltre cinquanta anni.

Ed ora veniamo alla musica che è magmatica, complessa ed appunto, “endlessly evolving” come quella originale, con la differenza di una inedita dimensione elettrica, assicurata dalla tagliente chitarra di Kaiser (quale esempio ascoltare l’intro di “Resolution”) che porta in dote il suo suono avant rock, e dall’hammond di Peet, mentre il sassofono di Golia, inserito nella nuova dimensione delle composizioni con un ruolo centrale, sia nella esposizione dei temi che nei lunghi solo, saggiamente evita rischiose riproposizioni e segue la strada maestra del post bop senza eccessive derive free. Nella versione elettrica sono rispettati i caratteri principali delle due opere, “A love supreme” con la sua spiritualità “melodica”, e “Meditations” immersa in una dinamica più convulsa e caotica, ma in questo caso  le singole sezioni si sviluppano con durate e percorsi autonomi rispetto agli originali, con ampio spazio ai singoli solisti (Hanrahan e Watt all’inizio ed al termine di “Pursuance”, Peet nella swingante “Love”…) nell’ambito di una dimensione collettiva che restituisce l’idea di un governo attento sullo sviluppo dei diversi spunti di volta in volta emergenti, apportati dai singoli protagonisti sulla base della propria cultura musicale. Anche nei momenti più liberi, come le due lunghe improvvisazioni che aprono ciascuna delle suites, questa musica mantiene il carattere di un vortice travolgente, ma controllato, in cui immergersi totalmente, senza riserve. Come consigliamo di fare a chi vorrà mettersi alla prova con un ascolto avveduto.

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