Non sarà facile imbattersi in un album simile a questo per un pò di tempo. L’affermazione non vuole essere preludio alle lodi di un capolavoro inarrivabile, ma solo l’incipit per tentare di raccontare un lavoro davvero originale per i nostri tempi, uno di quei dischi che invogliano la compilazione di un repertorio di aggettivi. Pantagruelico, ambizioso, coraggioso, ma anche strabordante, magniloquente ed impegnativo all’ascolto “come un’intera serie tv vista tutta in una volta” ha commentato qualcuno oltre manica. “Hari Ketiga” ovvero il terzo giorno,è una vera e propria opera in musica, anzi per definizione dei suoi creatori una “improvopera”, dato che il suo oceanico sviluppo, nove atti per oltre due ore e mezza, è costituito di materiali improvvisati nel corso di alcune sessions tenute nello studio spagnolo La Casa Murada, assemblati nella forma finale da Leonardo Pavkovic, il creatore e patron della Moon June records, con un procedimento che lo stesso autore dichiara ispirato ai metodi usati da Teo Macero per editare “Bitches Brew”. I protoagonisti musicali sono quattro, il pianista e tastierista indonesiano Dwiki Dharmawan, il batterista israeliano Asaf Sirkis, il chitarrista tedesco esperto di touch guitar Mark Reuter, ed il vocalist italiano Boris Savoldelli.

Occorre infatti precisare che l’intero concept che è alla base del doppio cd, una sorta di riscrittura in chiave ecologista del “De Rerum natura” di Lucrezio con protagonisti La Terra- Madre, L’Uomo – Figlio e l’Orizzonte degli Eventi- Padre, coinvolti in un destino di crimine, colpa e redenzione, è narrato quasi interamente in lingua italiana nelle liriche composte da Alessandro Ducoli e cantate da Savoldelli. Nelle numerose sezioni tematiche che compongono i nove atti si alternano continuamente climi e generi musicali disparati: dal progressive, con evidenti richiami alle prime opere concept del Banco del Mutuo Soccorso, all’improvvisazione jazz, dalla sperimentazione elettronica, alimentata dalle alterazioni applicate alla voce-orchestra di Savoldelli, che qui trova spazi molto estesi, utilizzando tutto il campionario delle proprie tecniche – canto, scat ed emissioni gutturali ispirate a Demetrio Stratos – fino ad elementi della musica popolare indonesiana apportati da Dharmawan (“The truth”,”The perpetual motion“). Ci sono molte sezioni ricche di spunti interessanti, specie quando gli elementi di base sono rielaborati in efficaci sintesi ritmiche sostenute dall’ agile batteria di Sirkis, con la chitarra touch di Reuter che screzia di elettronica il tessuto musicale, ed anche alcune parti decisamente tirate per le lunghe con una dilatazione dei tempi talvolta eccessiva. Ai tempi d’oro del progressive si citava come esempio di logorrea sonora “Tales from topographic ocean“, il doppio degli Yes con un brano per ogni facciata del vinile e pezzi che andavano dai 18 ai 24 minuti. Qui siamo decisamente oltre, e con il digitale i limiti non esistono più, tanto che il secondo brano supera abbondantemente la mezz’ora. Preso atto che una descrizione dettagliata delle varie parti è praticamente impossibile, si può riassumere che il primo cd, quello destinato alla presentazione dei protagonisti del concept, presenta toni più distesi ed acustici, ed il secondo è maggiormente oscuro e convulso, anche se, come detto, l’alternanza degli elementi in gioco è continua e talora anche spiazzante anche all’interno dello stesso atto. Un plauso comunque va tributato alla Moon June per la temerarietà nel concepire e veicolare un’opera di tale fattura, così come ai volonterosi ascoltatori che si vorranno cimentare nell’impresa, ai quali consigliamo comunque una somministrazione per dosi.