The Democracy! Suite – JAZZ AT LINCOLN CENTER ORCHESTRA SEPTET WITH WYNTON MARSALIS (Blue Engine Records)
“Timely”.Tempestivo, in linea con i tempi. Ho letto questa definizione del nuovo lavoro di Wynton Marsalis e mi è sembrata fra le più appropriate. Una suite ispirata e composta durante il turbolento periodo della pandemia e delle elezioni presidenziali, con lo scopo di candidare il jazz a strumento di una nuova coscienza sociale, con un legame ad altri famosi precedenti nel genere, scegliendo però un registro gioioso e brillante, per un’opera in grado di spargere semi di buon umore mentre incita a scendere in strada e riprendere il controllo delle proprie vite.
Come precisa lo stesso Marsalis “The Democracy! Suite” è una composizione strumentale non polemica ispirata ai fatti, sentimenti ed ai racconti della nostra attuale situazione globale. Scritta pochi mesi dopo l’inizio del lockdown, questo pezzo tesimonia il dramma, la bellezza e la stranezza di questi tempi, ma è alla fine un atto di ottimismo. Il jazz è una perfetta metafora della democrazia, e questa composizione, sebbene strumentale, parla a voce alta per spingerci ad alzarci dalle sedie e combattere per il mondo in cui crediamo“.
Un intento che il settetto condotto dal trombettista e composto da Elliot Mason, Ted Nash, Dan Nimmer, Walter Blanding, Carlos Henriques ed Obed Calvaire ha tradotto nell’interpretazione live alla sala concerti del Jazz at Lincoln Center, di otto brani con i quali si entra subito in sintonia, leggeri ed ariosi nelle melodie quanto ricchi di contenuti che travalicano quell’ immagine abusata del manierismo affibbiato a Marsalis. Qui si respira palpabilmente l’aria dei nostri tempi, anche se i modi, il linguaggio ed i codici comunicativi sono mutuati dal blues, dal jazz tradizionale e dalle sue successive evoluzioni. Ogni movimento degli otto che compongono la suite utilizza la voce della musica per sottolineare un tema dei nostri tempi. Le persone in prima linea nella lotta contro la pandemia, così come quelli presenti in strada a manifestare per i propri diritti, sono ricordati dal tema a presa diretta declamato dai fiati di “Be present” attraversata dai sequenziali soli di tromba, pianoforte e trombone.
“Sloganize, patronize, realize, revolutionize” introdotta dal liquido pianoforte di Nimmer e sviluppata fra gli unisoni dei fiati e parti di souplesse ritmica davvero poco manieriste, è un tentativo di riflessione sull’essenza del movimento Black Lives Matter, slogan temporaneo o sigla di una rivoluzione incruenta che metterà al bando episodi come quello dell’omicidio di George Floyd? La deliziosa “Ballot box bounce“, con il suo swing orchestrale leggero ed il binomio flauto/sax, mette in luce le possibili forzature dissauasive del sistema di voto elettorale postale Usa, auspicando un effetto simile a quello del proibizionismo sui bevitori. E ancora. “The dance we do”, un blues rotolante dove la batteria tira la giacca al trombone di Mason ed all’ alto di Nash per parlare dei tamburi che sono la colonna sonora di tutte le manifestazioni di protesta. Un dolente slow, quasi una marcia funebre dedicato a tutte le vittime del virus ed al dolore universale che attraversa tutte le nostre vite, “Deeper than dreams”. Per poi tornare subito sul versante easy e fun della dinoccolata “Out among the people” dove Wynton dispenda autoironia riferendo degli incitamenti dei suoi studenti ad “uscire dalla formalina” e portare la sua tromba per le strade, in un pezzo dedicato alla vita dei musicisti in questo momento ed alla figura del pianista Jonathan Batiste.”La storia non si ripete, è la gente che lo fa” sono le parole dello storico americano Geoffrey Ward prese a prestito per “It come ‘round ‘gim”, come dire “le cose cambieranno per sempre o si ritornerà come prima?”, con le voci della tromba eloquente del leader ed un lungo solo del contrabbasso. Ed infine “That’s when all we see“, la parata conclusiva per un tempo migliore, sulle strade di New Orleans,quando non ci sarà bisogno della comunanza della tragedia per capire quanto siamo vicini.
L’ottetto gira con naturalezza fra le curve dei temi composti da Marsalis e le pianure riservate alle parti soliste, e l’effetto finale è di una grande celebrazione dei poteri evidenti e nascosti di questa musica, che può fare ballare come un tempo, ma è anche uno strumento per pensare. Insomma, qui c’è da divertirsi. Sul serio.