Pat Metheny non poteva fare uno scherzo più raffinato ai suoi numerosisssimi fans sparsi in tutto il mondo: un album a proprio nome, occupato da due lunghe composizioni originali autografe, interpretate da chitarristi classici, Jason Vieaux in un caso e il Los Angeles Guitar Quartet nell’altro, totalmente dedicate allo strumento acustico, con l’ appendice finale di un unico brano nel quale compaiono le mani del chitarrista del Missouri sullo strumento a 42 corde denominato Picasso. Per una volta niente voli di chitarra synth, nessuna percussione o melodia vocale, nessuna tastiera : un disco molto distante dal più recente “From this point“, che aveva rispolverato alcuni degli stilemi più amati del PMG. Già si scorge la delusione sul viso di molti affezionati methenyani. Già si leggono post indignati che denunciano il tradimento. Però. Però se l’avete incautamente già acquistato ed il negoziante non lo vuole riprendere indietro, o se lo avete accantonato dopo un primo ascolto, queste righe hanno lo scopo di indurre ad una (possibile) riconsiderazione. Oppure aiutare a decidere chi sia ancora indeciso sull’acquisto.
I diciotto minuti dalla prima suite “Four Paths Of Light“, in quattro parti, sono affidati alle dita di uno fra i più autorevoli chitarristi classici in attività negli stati Uniti, Jason Vieaux, 47 anni ed un impressionante corredo di riconoscimenti e premi, incluso un Grammy per la migliore prestazione solista classica, già autore nel 2005 di un album di trascrizioni per chitarra classica dell’amato Pat, “Images of Metheny” ( Azica Records).
Vieaux qui riesce a creare, grazie ad una prodigiosa tecnica strumentale, un amalgama ideale fra antico e moderno, applicando la complessa sintassi del linguaggio classico ad un materiale che spesso risuona dei ben noti percorsi dell’autore, con attenzione sempre rivolta al campo melodico, ma attraverso traiettorie musicali ricche di sorprese e climax emotivi. Aspetti evidenti nel secondo movimento, lirico e minimalista, o nel terzo, il più dinamico insieme a quello di apertura, nel quale l’impronta facilmente riconoscibile di Metheny è filtrata da una chitarra che sembra provenire da un’epoca lontana.
Il pezzo che intitola il disco, affidato al Los Angeles Guitar Quartet, ensemble di chitarre attivo da un quarantennio e formato da John Dearman, William Kanengiser, Scott Tennant e Matthew Greif, evoca, invece, in modo più diretto lo stile di Metheny, con l’andamento narrativo da “viaggio sognante” che siamo abituati a riconoscere. Anche in questo caso sezioni metitabonde (la terza) si alternano a fasi più movimentate, nelle quali la presenza di quattro chitarre consente articolazione nei dialoghi (sez. 4, che si conclude su una coda astratta, o sez. 5 con alcuni soli di chiaro stampo ) e dinamiche sonore di maggiore impatto (sez 2). Alla fine il brano più criptico è proprio quello interpretato da Pat: “Für Alina” composto da Arvo Pärt nel 1976 come dedica ad una figlia separata dalla madre, è interpretata da Metheny con la chitarra a 42 corde da lui concepita e fatta costruire. Un brano in cui il silenzio dialoga con le sparse note cristalline o grevi della chitarra, evocando spazi deserti nella geografia o nell’anima. Pat Metheny dice di avere concepito questo disco così fuori dall’ordinario con il desiderio di far entrare gli esecutori nelle proprie composizioni e renderle così materiale nuovo plasmato dalla sensibilità dei musicisti. E di essere soddisfatto del risultato così ottenuto. “Road to the sun” resta, in ogni caso, un disco di Pat Metheny.