JOE CHAMBERS – “Samba de Maracatu” – Blue Note / CD
L’iconico batterista, e vibrafonista, Joe Chambers vanta una lunga e gloriosa liason da sideman con la Blue Note, il suo drumming lo rintracciate in capolavori ascoltati mille volte, citiamo “Fire Music” di Archie Shepp, “Happenings” di Bobby Hutcherson, “Mode For Joe” di Joe Henderson, “Adam’s Apple” di Wayne Shorter (la lista completa è impressionante!) eppure, nonostante le proposte di Lion e Wolff il suo debutto come leader in casa BN è avvenuto solo nel 1998 quando il drummer di Philadelphia fece ritorno sotto le storiche insegne totalmente cambiate (e decisamente non in meglio!) pubblicando “Mirrors”, disco comunque da rispolverare, nel quale il nostro riversava il proprio talento compositivo, accanto al pianoforte del mai abbastanza rimpianto Mulgrew Miller.
Quest’ultimo lavoro è stato inciso, come molti altri titoli usciti in questi assurdi mesi, a fine 2019 quando la pandemia doveva ancora spiegare le proprie nere ali su tutto il mondo, sconvolgendo anche, e chissà per quanto, le produzioni musicali che già versavano in uno stato critico. Il Maracatu del titolo di questo come-back è in estrema sintesi una figura di samba che ha profonde radici nelle fazende dello zucchero e nelle tenute di schiavi di Pernambuco, dove le confraternite religiose nere erano riuscite a preservare con musica e danze la cultura e il patrimonio africano. Ricordiamo in tal senso con piacere un brano di un certo successo del polistrumentista e compositore brasiliano Egberto Gismonti in grado di evocare limpidamente l’essenza ed i colori di una terra intrisa di magia.
Il “Samba de Maracatu” chambersiano si riallaccia idealmente all’universo Gismontiano con una sognante apertura pianistica di Brad Merritt, ed uno sviluppo danzante, con Chambers che sovraincide se stesso, non sappiamo in che ordine, con batteria, svariate percussioni e vibrafono a ricreare un sound dal fascino immediato.
Con questo afflato, ed alla soglia delle 80 primavere, Chambers in versione “latin side” dà così seguito a “Landsacapes” (Savant 2016) ed anche in questo caso fa un largo utilizzo dell’overdubbing, dialoga e accompagna le linee melodiche della sua stessa marimba e del vibrafono, utilizzando, oltre alla batteria, una serie di percussioni afro/brasiliane, con la musica che, a seconda degli episodi, si colora al suono di congas, claves, güiro, tamburi surdo e repinique, cuíca e altro ancora. Il contrabbasso di Steve Haines, utilizzato spesso in apertura dei brani, si ritaglia buoni spazi solistici in cui si apprezzano pulizia e nitore di fraseggio.
In alcuni casi tutto il lavoro di post produzione, ed in particolare l’inserimento in primo piano della batteria nei missaggi, finisce per appesantire il lavoro che trova a fatica un proprio centro, e tende a disperdersi, tra una pezzo metropolitano cantato da un rapper (“New York State of Mind Rain” con tale MC Parrain), una versione tonitruante di “You And The Night and the Music” e una sapida “Never Let me Go” affidata all’ottima voce di Stephanie Jordan. Troppi ruoli in commedia? Beh, la tentazione è comunque quella di perdonare tutto al veterano Joe, soprattutto quando c’incanta con “Rio” di Wayne Shorter che parte in 4/4 e si evolve all’improvviso in una sfrontata bossanova, in “Visions” di Bobby Hutcherson, un’intensa conversazione con il pianista Brad Merritt, ed in “Ecaroh” di Horace Silver, una riflessione sospesa che via via tende a dipanarsi con la naturalezza e la classe che questo mito del jazz ha dispensato in tante opere immortali.
(Courtesy of AudioReview)
