Siamo circondati dalla bellezza. Non è una notazione estetica, ma sociale, dato che il termine è ormai ampiamente abusato per descrivere, con una nuance di intellettualismo, ciò che ci piace. Non si sente, o si legge più “che bello“, a proposito di un libro, un film, un disco o un panorama, ma piuttosto: “quanta bellezza!!!!”. La via intrapresa è quella del tic verbale sul modello di altri maturati in tempi recenti quale il famoso ossimoro del “silenzio assordante“, che con l’uso e l’abuso tendono a perdere contenuto, significando tutto o niente a seconda del pronunciante o del contesto in cui vengono pronunciati.
Il batterista di origini serbe di stanza a Parigi, Srdjan Ivanovic, alla bellezza ha dedicato il suo quarto cd, riassumendo in una frase, stavolta non banale, la sua declinazione del sostantivo.
“Quando iniziai a ricevere domande su questo nuovo album, il mio primo pensiero fu che la bellezza riposa in ogni cosa, ma ripensandoci, direi piuttosto che tutto è meraviglioso, ma noi “riposiamo” e non ce ne accorgiamo. Talvolta qualcuno crea qualcosa che ci tocca nel profondo, ci risveglia, e per un momento vediamo tutto brillare nella giusta luce, Spero che questo disco possa procurare a chi lo ascolterà un effetto simile “.
Tradotto in note, il pensiero di Ivanovic assume in questo “Sleeping Beauty” (Moon June Records) le sembianze di una musica rilassata e lunare, che gravita fra il jazz e la world, adagiata fra le note cariche di pathos della tromba e quelle della cangiante chitarra, con grande attenzione al lato melodico e ad alla profondità, dimensione piuttosto insolita per un disco di un batterista che qui emerge soprattutto nel ruolo di compositore.
Il tutto ad opera di un quartetto multietnico con il trombettista greco Andreas Polyzogopoulos, il chitarrista italiano Federico Casagrande, ascoltato di recente al fianco di Enrico Pieranunzi e Francesco Bearzatti, il bassista bulgaro Mihail Ivanov, insieme all’ospite Magic Malik, flautista proveniente dalla Costa d’Avorio, formazione che rappresenta una nuova edizione del Blazin Quartet, nelle tre prove precedenti privo di chitarre e molto più caratterizzato dalla presenza di strumenti a fiato.
Introdotte e chiuse dal canto degli uccellini registrati durante il periodo di lockdown nella campagna francese, rispettivamente all’alba e di notte, scorrono i dialoghi fra batteria e tromba della title track, dedicata alla moglie di Ivanonovic, Catherine, un omaggio ad Ennio Morricone con una versione di “The man with the harmonica” (C’era una volta il west) che nasce nelle tenebre, si sviluppa sul filo teso dalla tromba e conquista infine la luce con uno spaziale solo della chitarra, le suggestioni etniche di “Guchi“,ripresa dal precedente album “Jalkan Bazz“, con il flauto e la voce di Malik a tessere lunghe linee melodiche di impronta africana, un solo della tromba virata nei toni sabbiosi di Jon Hassel, ed uno di chitarra che ripropone il tema principale. Ed ancora i ritmi ipnotici fra Africa e Balcani di “Rue des balkans“, con il flauto di Malik nuovamente protagonista, ed “A l’aube de cinquième jour”, una ballad dai toni immaginifici sostenuta dall’inventivo drumming del leader.
Un bel biglietto di presentazione, che alimenta la curiosità di conoscere ulteriori sfumature del quartetto: per chi voglia saziarla con la prova del concerto, ecco il link per collegarsi all’esibizione che Ivanovic e soci terranno a France Musique il prossimo 15 maggio, con Malik e Chistophe Panzani ospiti ai flauti e saxes.
https://www.facebook.com/events/443346770251197
“Ho scelto un approccio di tipo “fotografico” per registrare questa musica, l’idea era catturare una vibrazione anzichè cercare la take perfetta. Volevo pensare alla musica in termini liberi, lasciando da parte tutti i preconcetti su come un album jazz dovesse essere costruito, e fare in modo che tutti i musicisti fossero catturati nella loro luce migliore. Così sono stato davvero felice quando un solo inatteso di Andreas, in seguito divenuto un duetto con le tastiere, è diventato una composizione che ho deciso di inserire nell’album, oppure che, senza averlo previsto, un assolo di chitarra di Federico, sia diventato la reprise della title track. “