Wadada Leo Smith compie 80 anni nel 2021. Il trombettista e compositore nato a Leland, Mississippi, il 18 dicembre 1941, ha costruito una carriera molto particolare, con una storia di oltre cinquant’anni di creatività, lasciando molte dozzine di dischi lungo il percorso. Se i concerti dal vivo sono ancora lontani e complicati, con la pandemia che ancora ci soffoca, gli appassionati del lavoro di Wadada non hanno nulla di cui lamentarsi: una serie di album sono appena usciti, pregni di diverse collaborazioni e progetti, in una sequenza di novità che si estenderanno nei prossimi mesi con album già in rampa di lancio, come vedremo al termine dell’articolo.

Il primo album pubblicato, che ha recentemente raggiunto il mercato, è Sun Beans of Shimmering Light, che vede il trombettista in trio insieme a Douglas R. Ewart (sax soprano, fagotto, flauto) e Mike Reed (batteria). L’album, registrato al Costellation Arts Space di Chicago nel 2015, è il culmine di una partnership iniziata qualche tempo prima. Nonostante i tre musicisti siano legati ad AACM e si siano incontrati più volte, hanno suonato insieme, in trio, per la prima volta solo nel 2012, ritrovandosi sporadicamente in alcune occasioni fino alla data di questa registrazione.
Il disco è relativamente breve, circa 45 minuti, forse perché è stato progettato per il formato in vinile. La musica che troviamo qui, se ha i suoi momenti di maggior vigore, ha generalmente un’impronta rilassata, con linee profonde, in cui le pause di intensità non mancano e giocano un ruolo importante. La title track, per esempio, ha anche un richiamo all’aura del jazz spirituale tipico degli anni Settanta. Mentre in “Unknow Forces” Smith emerge come protagonista, “Super Moon Rising” mostra tutta la vitalità creativa del trio che lavora insieme sulle idee; essendo probabilmente il brano migliore dell’album, esprime più potenza, con Ewart che suona le percussioni nella prima parte che funge da introduzione, finché si unisce a Smith in un dialogo che acquista vitalità anche con il beat più marcato di Reed, che culmina in un assolo ispirato.
L’album esce su CD e LP, quest’ultimo in edizione limitata di 500 copie .

Due incredibili box escono contemporaneamente per l’etichetta finlandese TUM Records il 21 maggio. Il primo è Trumpet, disco solista con 14 nuovi pezzi distribuiti su 3 CD. Questi album per tromba solista sono stati catturati live nel luglio 2016 nella chiesa di Santa Maria a Pohja, in Finlandia, una chiesa medievale in pietra che crea un’atmosfera unica per la musica. Non è difficile associare “Trumpet” al precedente album solista di Wadada, “Reflections and Meditations On Monk” (2017), registrato contemporaneamente, un po ‘prima, tra novembre 2014 e agosto 2015, in uno studiougualmente in Finlandia.
Se Thelonious Monk era l’artista lì celebrato, in questo nuovo album il trombettista non esita a rendere omaggio ad altri musicisti che, direttamente o indirettamente, sono collegati alla sua poetica. Si inizia con il brano “Albert Ayler” e lungo il percorso di ascolto compaiono temi come “Howard and Miles – A Photography Image”, “Metallic Rainbow (For Steve McCall”), “Leroy Jenkins Violin Expressions” e “Amina Claudine Myers”. Le circa tre ore di musica formano un set che chiede di essere ascoltato nella sua interezza, con i temi che si succedono in modo complementare, portando l’ascoltatore in un mondo parallelo.
Wadada sviluppa la sua musica in modo fluido, riempiendo gli spazi lentamente, rispettando il silenzio che è un elemento chiave della sua espressività. Insieme a brani più semplici, ci sono composizioni più ambiziose, come “Rashomon” e “The Great Litany – A Reflective Memory of al-Shadhili”, entrambe divise in 5 parti ciascuna.
“Ho registrato Trumpet in una piccola città un’ora a ovest di Helsinki, in Finlandia, creando la musica in una chiesa in pietra del XV secolo. L’acustica era perfetta per il suono della tromba. La registrazione si è svolta in quattro giorni durante il periodo estivo. È stato un bel momento per creare arte ” , afferma Wadada nel booklet.” La tromba è uno strumento metallico e, a causa del suo design architettonico, ha la potenzialità di offrire al musicista la capacità di creare un’immagine pura e talvolta inimmaginabile. La musica del trombettista si ripercuote in questo mondo e attraverso lo spazio. È uno strumento fatto per un sognatore, colui che può autenticare il sogno nella realtà. “

L’altro box curato da TUM, anch’esso con 3 CD, è Sacred Ceremonies. Qui Wadada Leo Smith si esibisce con due vecchie conoscenze: il bassista Bill Laswell e il percussionista Milford Graves (1941-2021). Tutto il materiale è stato registrato da James Dellatacoma agli Orange Music Sound Studios (New Jersey), in tre sessioni che si sono svolte a maggio 2016 (dischi 1 e 2) e dicembre 2015 (disco3). Il CD 1 presenta Smith e Graves come duo. Su CD 2, un altro duo, Smith e Laswell. E sul CD 3, i tre musicisti si riuniscono.
Dopo aver ascoltato tutto il materiale, resta l’impressione che sarebbe artificioso separare i tre album, ovvero la decisione di TUM di pubblicare tutto il registrato in unico un box è stata molto corretta: si tratta infatti di un’opera in tre parti. La prima sessione, con Graves e Smith, è la più lirica (“Poetic Sonics è particolarmente toccante). La musica qui è fatta di dialoghi equilibrati e profondi, che a volte si impossessano lentamente degli spazi, senza rapimenti o fuochi d’artificio solistici. La musica distillata da Graves e Smith acquista anche maggiore potenza in alcuni punti con il passare dei brani, avendo il suo apice di maggiore ebollizione in “Celebrating and Rythms”, ma senza raggiungere le sfere di una musica puramente energetica.
Nel disco successivo è all’opera un altro duo, con Smith e Laswell, e l’atmosfera cambia notevolmente. Laswell, con il suo basso scandito da effetti e vibrazioni molto particolari, crea paesaggi precisi attraverso i quali si riverbera la profonda, a volte tagliente, tromba di Wadada. “Tony Williams”, la composizione di Smith, con la sua linea ripetitiva e la melodia spezzata, è il momento clou dell’incontro.
Il disco 3, in cui il trio Smith / Graves / Laswell si unisce, è una sintesi e conclusione di queste collaborazioni, come se combinasse le diverse possibilità espressive presentate sui due dischi che lo accompagnano in Sacred Ceremonies – c’è anche un quarto disco che potrebbe essere incluso idealmente in questo nuovo box, “Space Time – Redemption” (2015, TUM), che presenta un duo di Laswell con Graves, chiudendo così il ciclo di possibili collaborazioni per questo trio di artisti.
“Bill ed io abbiamo avuto il grande piacere di registrare questo speciale progetto di duetto / trio con Milford Graves e di dedicargli questa musica. Milford è stato uno dei più grandi batteristi dei nostri tempi, che ha rimodellato il modo in cui i ritmi vengono suonati sulla batteria. Ci mancherà e così anche a tutto il mondo degli appassionati”, afferma Wadada Leo Smith.

Per concludere, nei prossimi mesi, la TUM Records prevede di rilasciare altri album di Wadada Leo Smith: un doppio CD dal “Great Lakes Quartet” (Smith, Henry Threadgill, Jack DeJohnette, John Lindberg); un cofanetto con 4 CD di tromba e batteria, che vede Smith al fianco di Andrew Cyrille, Han Bennink, Pheeroan akLaff e DeJohnette; e un cofanetto con 6 CD con 12 quartetti d’archi composti da Wadada Leo Smith. C’è di che abbuffarsi le orecchie, lunga vita a Wadada Leo Smith.
Photo Leo Smith by SCOTT GROLLER /
Thank to Fabricio Veira
Urca che notiziona. Grazie!
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Non riesco a trattenermi da un’annotazione. Capisco la volontà (ed anche la necessità…) per i musicisti di esser presenti, di dare un segnale di vitalità anche in momenti come questi. Tuttavia queste ‘valanghe di musica’ (l’espressione è azzeccata) vanno a rovesciarsi su una nicchia di mercato molto ristretta in un breve lasso di tempo. AI tempi dell’LP da 40/50 minuti (e da Lit.3.500/5.000 alle nostre latitudini…) molte leggendarie etichette dosavano accuratamente le loro uscite per non saturare un mercato ben più ampio e florido dell’attuale: e molti lavori accuratamente rifiniti e pensati sin dall’inizio per la pubblicazione rimanevano per mesi e talvolta per anni nei cassetti. Anche qui abbiamo materiali registrati anni fa (anche 5 o 6), molto spesso degli estesi live in cui ci possono esser momenti intensi, ma anche non trascurabili fasi ‘interlocutorie’; per tacere del fatto che molte di queste opere hanno dimensioni ed articolazione così cospicue da richiedere all’ascoltatore ore di fruizione, per di più concentrata (??). A parte lo scarso realismo che trapela da tutto questo (per tacere dei prezzi di ognuno di questi ‘magnum opus’…), temo che il jazz stia perdendo per strada una caratteristica di essenzialità e di efficacia comunicativa che lo ha contraddistinto nei suoi momenti migliori. Limitandoci all’era LP, a Coltrane, Coleman, Shepp e persino Taylor non sono mai serviti più di 40/50 minuti per mettere sottosopra una musica che già vantava una consolidata storia di decenni…. Sono un po’ perplesso…. Milton56
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