Un padre grande appassionato di musica, un talento notato fin dall’adolescenza con le prime band liceali, varie esperienze nei mondi del pop e rock ed in campi paralleli al jazz (Rossocolore, Havona, Belèm Trio, The Ropesh) , fino alle affermazioni accademiche nel concorso per basso elettrico indetto dai conservatori italiani nel 2014, ed al prestigioso Premio Abbado per la categoria jazz nell’anno seguente. Queste le tracce principali che conducono a “Il vento è fuori“(abeat records) primo lavoro in quintetto del bassista di Senigallia, Filippo Macchiarelli, che, in esito al percorso compiuto, sembra avere trovato la propria “via” nel linguggio del jazz, usato in sinergia con i tanti spunti colti nell’arco della carriera trascorsa. C’è tanto materiale in questo cd, che mette insieme, quasi fosse la somma di un periodo della vita del suo autore, episodi, stati d’animo e stimoli distribuendo, nelle sue otto tracce, una quantità di elementi stilistici che ai primi ascolti lascia stupiti e un pò in difficoltà nel tentativo di decifrare la strada scelta . Soprattutto considerando che le sessions si sono tenute in pochi giorni, registrando in poche takes composizioni maturate ed elaborate a lungo nel corso del tempo. Macchiarelli è indubbiamente molto abile nell’organizzare un’ampia palette sonora che si vale degli impasti timbrici del sassofono (Simone La Maida) del trombone di Massimo Morganti e delle tasiere di Emilio Marinelli, impreziosita dal contributo dell’autorevole drummer americano Greg Hutchinson, ed una delle caratteristiche del lavoro che colpisce immediatamente è l’estrema cura e raffinatezza degli arrangiamenti che incorniciano temi di ampio respiro melodico. L’ambito stilistico di riferimento è quello della fusion, interpetata però con una vena creativa che evita gli eccessi muscolari e virtuosistici per privilegiare il lavoro d’insieme e l’identità delle singole composizioni. Le quali spaziano fra le liriche volute della title track, tessute dal basso e dai fiati, i temi a presa diretta in versione acustica di “Corde da campanile a campanile“, e più elettronica di “Out to get in“, lo swing à la Pastorius di “Pola pola” (introdotta dalla voce del figlio Sirio e con una serie di breaks da brivido di Hutchinson nel finale) le sfaccettate ballads “Amaceuy” ed “I giorni di Alabar”, le torride atmosfere jazz rock di “Mimante” e l’inno finale spolverato di soul di “Secret love ” con citazione più o meno esplicita a Coltrane. Macchiarelli sa rendere movimentato ed interesante il materiale, deviando sempre dal compiacimento tematico per offrire punti di vista inaspettati: succede ad esempio nel primo brano, quando una svolta alleggerisce la labirintica successione armonica, ma anche gli episodi di maggior peso melodico come “Corde...” sono da ascoltare con attenzione perchè rivelano molte facce, oltre l’appagamento epidermico immediato. Un perfezionista, Macchiarelli, che ha concepito e realizzato anche le immagini grafiche del cd. Ma con una visione, che attende conferme e sviluppi nei lavori in corso nel frattempo avviati dal quartetto.
Filippo Macchiarelli – “Il vento è fuori”
