Tra gli anni ’20 e l’inizio del ’40 nella profonda provincia americana si aggiravano le ‘territory bands’, orchestre che quasi mai abbandonavano i loro luoghi di origine, di cui coltivavano i caratteri originari musicali con silenziosa tenacia. Quasi mai riuscivano a raggiungere gli studi discografici delle grandi città, al massimo le più fortunate riuscivano a ritagliarsi uno spazio nelle radio locali consolidando la loro relazione con un pubblico più ampio e disperso. Eppure alcune di loro hanno allevato grandi talenti, poi destinati ad affermarsi sulle grandi ribalte metropolitane già forti di personalità originali e spiccate.
Anche noi abbiamo la nostra ‘territory band’: è la Lydian Sound Orchestra, ormai longeva (1989) creatura di Riccardo Brazzale, che si vorrebbe ascoltare più spesso al di fuori del Veneto, il nostro Mid West. Nella serata del 25 maggio scorso Correggio Jazz è riuscito a portarla sul palco del Teatro Asioli accompagnata da un suo ricorrente ospite: David Murray, che io definirei senza tante perifrasi come l’ultimo dei fuoriclasse del Jazz (con la maiuscola).
Si tratta di un’orchestra di sensuale sontuosità, quasi ellingtoniana, peraltro con scatti di dinamismo di spiccata contemporaneità. La lunga milizia comune e soprattutto un’assidua frequentazione del grande repertorio afroamericano le fruttano uno swing spontaneo e disinibito. Le sue notevoli risorse quantitative e qualitative (molti i solisti pregevoli) vengono sempre gestite con sobrietà. All’amplissima e raffinata tavolozza di colori strumentali (cfr. formazione in basso) si aggiunge talvolta un percepibile spruzzo di latin tinge.
Nel book dell’orchestra era presente con questo brano anche l’ ‘unsung hero’ per antonomasia: Herbie Nichols. Pregevolissimo box Blue Note di molti anni fa, da arraffare al volo in caso di avvistamento (improbabile)
Le scelte di repertorio molto sofisticate (Shorter, Gaslini, Nichols, Strayhorn, Roach & Lincoln) ed abilmente impaginate favoriscono un’inarrestabile progressione dell’orchestra, per me l’ensemble più ‘black’ d’Italia: ed il lungo sodalizio con Murray è lì a dimostrarlo. E non sono certo ‘comparsate’ di routine, sono in campo tutti i Murray: il nipote di Ben Webster, il fratello saggio di Albert Ayler, l’erede designato di Archie Shepp.
Il mix con lo strumentista Murray è perfetto, il fuoriclasse californiano con elegante professionismo non fa quasi mai pesare appieno il suo solismo, altrove più impetuoso e travolgente. Rompe le righe solo in un intenso ‘Blues all’Alba’ di Gaslini e soprattutto in ‘Chelsea Bridge’ di Strayhorn, del resto suo antico cavallo di battaglia, regalandoci un sorprendente assolo fatto di tante piccole, sottili pennellate, quasi ‘divisionista’, per buttarla in pittura.
1995, un altro ‘Chelsea’ di Murray con un quartetto con Dave Burrell, Fred Hopkins (!!) e Ralph Peterson. Sempre la (molto) rimpianta DJW di Kazunori Sugiyama
La sua voce tagliente, le sue funamboliche fughe nei sopracuti ed il suo fraseggiare plastico e felino si riconoscono comunque al volo anche nella multicolore folla di fiati messi in campo dalla Lydian: l’ultimo dei grandi stilisti vanta quel sound personalissimo ed inconfondibile che purtroppo sembra essere la vittima predestinata dell’odierna formazione jazzistica in ambito accademico. Il nostro è ‘in palla’ come non lo vedevamo da tempo sul palco. Del resto, la big band è il suo elemento, ne ha create e dirette di indimenticabili, purtroppo oscurate dall’eclissi delle relative testimonianze discografiche, e soprattutto del bel catalogo della valorosa DJW Disk Union che ne conteneva parecchie.
1992, New York, Power Station Studio. Murray e Lawrence Butch Morris guidano una big band che è un sogno ad occhi aperti. 10 minuti che non rimpiangerete, ‘Flowers for Albert’ è un cavallo di battaglia di Murray. ‘Albert’ si capisce chi è ….. ascoltare il finale.
Pur forte di una dizione impeccabile e di buone doti d’interprete, ha avuto non poco coraggio la vocalist Vivian Grillo a misurarsi con il temibile modello di Abbey Lincoln in ‘Lonesome Lover’ e ‘When Malindi Sings’: il primo è riuscito più morbido ed elegiaco del perentorio e combattivo originale da ‘It’s Time’ del 1963, uno dei migliori prodotti della famosa ditta Max Roach & Abbey Lincoln. La Malindi della Grillo risulta invece incisiva e liberatoria, con un’orchestra che si dimostra capace di notevoli exploit di dinamismo astratto
Una ‘Malindi’ della Lydian con Murray in una suggestiva ripresa in Francia nel 2019. Quella di Correggio era anche più grintosa….
Per tutta la durata del lungo concerto la temperatura in sala non ha fatto che salire costantemente, sfociando in un’autentica esplosione finale, quasi quattro minuti di applausi e grida che hanno fruttato un breve ma travolgente bis, che dopo due assoli di tenore di Robert Bonisolo e Murray sfocia in una vera e propria chase tra i due, al che la situazione in platea diventa definitivamente ingestibile. Un magnifico album live mancato, purtroppo….
La doppia, rischiosa scommessa di Correggio Jazz sui grandi organici alla fine ha pagato molte volte la posta, regalandomi il ricordo di due serate difficili da dimenticare (non è facile, dopo quasi cinquanta anni di questa musica). La palla adesso tocca a chi dovrà proseguire quest’estate di musica: auguri, ne avranno molto bisogno. Milton56
LYDYAN SOUND ORCHESTRA featuring DAVID MURRAY
‘Train Smoke, Rain Steam’
Riccardo Brazzale, direzione ed arrangiamenti
Mauro Negri, clarinetto
Rossano Emili, sax baritono, clarinetto basso
Robert Bonisolo, sax tenore
Gianluca Carollo, tromba e flicorno
Giovanni Hofer, corno francese
Glauco Benedetti, tuba e trombone
Vivian Grillo, voce
Paolo Birro, pianoforte
Marc Abrams, basso
Mauro Beggio, batteria
Special guest
David Murray, sax tenore
Teatro Asioli, Correggio, 25 maggio 2021
Ed eccolo il ‘Lonesome Lover’ del 1963…. Scegliersi modelli di questa intensità ed eleganza racconta molto di chi lo fa. Buon viaggio, Lydian….
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