Non sempre la somma del valore dei singoli musicisti è pari alla cifra finale del loro progetto. Questo in sintesi per spiegare l’idea di The Jimi Hendrix Guitarless Experience, il concerto di venerdi 9 luglio a Berbenno per il festival valtellinese di Ambria Jazz.
Sul palco Boris Savoldelli, voce ed elettroniche, Alessandro Castelli trombone, Riccardo Fioravanti basso elettrico e Pietro Stefanoni batteria. Capita sempre più spesso di trovare in cartelloni a tema jazzistico proposte che intendono omaggiare una personalità musicale forte, spesso pescando anche in territori spuri, lontano dai sentieri più conosciuti, spostando cioè il baricentro dalla musica jazz ad altri protagonisti della musica di oggi e di ieri.
E’ il caso del concerto valtellinese, ed il perché è presto detto: se i musicisti si propongono con repertorio originale avranno x possibilità che vengano chiamati da festival e rassegne. Possibilità variabili in base a notorietà dei singoli, abilità degli agenti, conoscenze dirette e quant’altro faccia risaltare la proposta dei musicisti. Se però il gruppo si propone nell’omaggio e nella rivisitazione di un grande del jazz o, per scopi commerciali meglio ancora, di una star del rock, le possibilità di ingaggio diventano x al quadrato. Questo genere di progetto è molto più “vendibile”, stimola i ricordi e le nostagie di vasti strati di pubblico ed è di sicuro appeal per i media, sempre meno qualitativamente informati e sempre più attenti al sensazionalismo facile, e non solo in campo musicale.
Però c’è il rovescio della medaglia, non a caso dopo un disco ed una manciata di concerti questi tributi spariscono velocemente. Per fare un album o una serie di concerti che non facciano rimpiangere l’originale bisogna sfornare idee, “tradire” l’idea originale pur mantenendone gli assiomi, fare proprio il materiale altrui con intelligenza e passione. Facile capire perché il 90% dei tributi faccia normalmente rimpiangere gli originali e non lasci tracce durature.
E spiace dirlo, ma è il caso di questo Hendrix senza chitarra, che, almeno a mio parere, ha convinto solo in parte nonostante la assoluta bontà dei singoli. Non è il caso di scomodare l’album di Gil Evans e della sua orchestra dedicato alle composizioni hendrixiane, qui siamo molto lontani sia per impostazione che per soluzione. Se Evans traduceva in linguaggio orchestrale di pura matrice jazzistica la materia musicale, il gruppo guidato da Savoldelli ne compone un quadro scarno strumentalmente e fortemente impregnato di effetti elettronici, con qua e la qualche bella sortita di pura improvvisazione in un contesto che appare un po’ sfilacciato e bisognoso di prosciugare qualche lungaggine. Comprensibilmente, direi, visto il lungo stop pandemico, il gruppo ha bisogno di più concerti per mettere meglio a fuoco il materiale e l’iterazione tra musicisti e cantante. Nella riproposizione dei brani più famosi a me è piaciuto in particolare la versione per sola voce ed elettroniche di Voodoo Chile.
E’ stato il mio primo concerto ad Ambria di questa edizione, ed ho trovato una piazza gremita ed un interesse palpabile che però, brano dopo brano, è andato un po’ scemando. Speriamo nelle prossime proposte.
MI incuriosisce Hendrix senza chitarre…
La riflessione che mi sento di fare è che Hendrix è un nome facile da spendere, ma molto difficile da rendere risultando credibili alle orecchie del pubblico che ascolta.
È chiaro che bisogna spogliarsi del contesto nel quale Hendrix operava, se non si vuole scadere nell’interpretazione rockeggiante più o meno attrezzata, ma per quello, ad esempio, Phish, Gov’t Mule gruppi “crossover” che peraltro non disdegnano commistioni con il jazz, svolgono egregiamente il loro compito, però, al tempo stesso, occorre restituire qualcosa di quello spirito e dell’espressività fortemente incardinata nel rhythm and blues che animava la sua musica.
A mio parere, un organico un po’ più numeroso con una robusta front line fiatistica senza rievocare il già opportunamente citato Gil Evans non guasterebbe e, non mi farei eccessivamente condizionare dall’elettronica che, per Hendrix, era un mezzo e non un fine.
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