Debutto per Blue Note al quarto album a proprio nome per il batterista di Filadelfia Jonathan Blake, uno fra i musicisti più versatili ed apprezzati della scena statunitense, con esperienze a fianco di riferimenti del jazz come Tom Harrell, Kenny Barron, Dr. Lonnie Smith, Maria Schneider e la Mingus Big Band, così come di rapper (Q tips) e musicisti house, che gli hanno procurato, nella stampa oltreoceano, il titolo di “vero modernista”. Dopo “Trion” del 2019 con Chris Potter e Linda May Han ho, per il nuovo lavoro Blake ha allestito un nuovo quintetto, denominato Pentad, che raggruppa alcune delle personalità musicali di maggior interesse del roster Blue Note: oltre al bassista Dezron Douglas ed al pianista David Virelles, “Homeward Bound” conta sulla presenza di Immanuel Wilkins al sax alto e del vibrafonista Joel Ross. Come dire una dream band intergenerazionale che lasciamo presentare direttamente al suo leader. “Il nome Pentad rappresenta noi cinque riuniti per una causa comune: cercare di suonare la musica più onesta possibile. Volevo fare un disco che rendesse accessibile a tutti la storia che cerco di raccontare. Penso che il suono che abbiamo messo a punto derivi da anni di conoscenza con Dezron e David, dalle storie musicali che ho condiviso con Immanuel fin dai giorni di Filadelfia e dalle relazioni fra lui e Joel. C’è un pezzetto di storia trascorsa con ognuno nella band che, quando suoniamo insieme, crea un amalgama unico.”
Se “all’inizio c’era ( e c’è, nel solo di Blake che apre il lavoro) la batteria”, lo sguardo di chi abbia trascorsi in campo rock e pop va subito all’ultima traccia, l’hit eighties “Steppin’out” di Joe Jackson , una sorta di inno alla New York di quegli anni, Ed il trattamento che i Pentad riservano al brano importato da quel retroterra fornisce indizi precisi sulla scelta estetica del gruppo. Una intro astratta del pianoforte, quindi il pedale di basso e pianoforte che prepara il terreno alla melodia, riletta con assoluta attinenza all’originale: quindi parte il solo di Wilkins, costruito con un preciso senso dell’architettura che prevede una fase di fondamento ed esplorazione sorniona, quindi la graduale accensione con un convulso fraseggio proteso verso territori più liberi. Chiusura sul tema originale da cui viene estratta una frase che scandisce un magmatico assolo di Blake. Come si diceva, è un pò la cifra di tutto il lavoro, tenuto saggiamente in equilibrio fra attenzione alla melodia ed improvvisazione, dinamica che caratterizza la title track dedicata alla figlia del sassofonista Jimmy Greene, Ana Grace, scomparsa a sei anni nella strage alle scuole elementari Sandy Hook nel 2012 nel Connecticut, con un tema di forte impronta sul quale si innesta un avvincente scambio solista fra il vibrafono di Ross ed il sax di Wilkins, seguito dalla sezione condotta dal pianoforte. Con musicisti di questa levatura, tutto sembra facile e naturale, un gioco collettivo animato da un’intesa telepatica con ripartizione dei ruoli che non richiede accordi preventivi. Ascoltate come il vibrafono, il sax ed il piano elettrico emergono singolarmente dal denso groove creato da contrabbasso e batteria in “Rivers and parks“, seguite il passaggio dalla introduzione informale di “Shaking the biscuit” alla creazione di un disteso tema collettivo che apre lo spazio ad uno stentoreo synth di Virelles. Quindi assistete al modo, semplice e sommesso, con cui si crea, da un beat minimale della batteria, una piccola ballad disegnata dal pianoforte sul modello di una ninna nanna per bambini del Sud Africa come “Abiyoyo”, per passare subito dopo al minuto di ritmiche hip hop che introducono il solo di Blake posto all’inizio di “LLL”: un’altra dedica, al batterista Lawrence ‘Lo’ Leather, ennesimo esercizio di efficace composizione, con il guizzante tema post bop, ed intensa imrpovvissazione, appannaggio stavolta del pianoforte e delle lamelle di Ross. Prova esemplare di tutti i musicisti, ma, dato che esce a suo nome, impossibile non sottolineare il drumming strutturale, avvolgente ed in costante mutazione di Jonathan Blake.
Grande Johnathan Blake, il suo modello percussivo è unico e, ogni qualvolta che lo ascolto, m persuade sempre di più. Ho avuto l’immenso piacere di conoscerlo di persona per essere stato ospite al mio San Severo Winter Jazz Festival a marzo 2013, in trio con un altro grande pianista, il venezuelano Luis Perdomo, non menzionato nel vostro accurato reportage di questo stupendo disco, fra i tanti grandi e noti musicisti con cui ha condiviso il palcoscenico di tanti festival e Jazz Club. Ascoltare poi, meravigliosamente ristrutturato, il brano a firma di Joe Jackson del 1982, “Steppin’ Out” mi ha portato indietro in quei meravigliosi anni ’80, l’ era degli Yuppies, della rinascita economica, non solo americana, ma anche la Milano da bere. Un brano, credo, che possa essere di buon auspicio per tutto e tutti.
Tutto molto bello, grazie.
Antonio Tarantino
Dir. Art. San Severo WJF
Pres. Assoc. Amici Jazz San Severo
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