L’idea poteva nascere solo da quei visionari amanti del limite della RareNoise records: trasformare un pugno di canzoni punk degli anni ’80 in altrettante composizioni jazz suonate in chiave quasi esclusivamente acustica. Un pò di coordinate per iniziare. I M.D.C. – Million of dead cops sono stati esponenti di punta della scena hardcore punk statunitense a partire dai primi anni ’80, epoca di un esordio discografico rimasto nella storia del genere, 45 canzoni dalle decise connotazioni politiche compresse in poco più di sessanta minuti. Il titolo del loro primo singolo “John Wayne was a nazi” dice già molto sulle idee del gruppo. Mike Pride, batterista e compositore, viaggiatore inesausto fra i generi musicali, dopo collaborazioni con Anthony Braxton e prima di quelle, fra le tante, con Peter Evans, Tim Berne, John Zorn e Mary Halvorson, si ritrovò, agli inizi del millennio, un pò per caso, dietro ai tamburi della gloriosa sigla M.D.C. in una delle tante resurrezioni della band del cantante David Dictor. Oltre vent’anni dopo, Pride bussa alla sede di RareNoise con il folle progetto di reinterpretare, insieme al pianista Jamie Saft, vecchia conoscenza della casa, ed al bassista Brad Jones, entrambi jazzisti con ampie aperture stilistiche, una parte del repertorio della band punk e, manco a dirlo, il progetto trova subito accoglienza. Siamo in tempi di jazzificazione dei materiali erogenei, per “urgenze” artistiche o asserite tali, o più verosilmente commerciali, per cui è necessario un distinguo fra questa operazione e quelle che si ispirano, per citarne due recenti, a Lucio Dalla o allo Zecchino d’oro: “I hate work” è un vero disco di jazz suonato con autentico spirito punk, ovvvero un’opera che usa l’idioma ed alcuni stilemi della musica aframericana (un piano trio swinging’) iniettando in essi dosi non massicce ma significative di quello spirito trasgressivo e “do it yourself” che oltre quaranta anni fa rivoluzionò il mondo musicale e non solo.

Gli esempi fioccano numerosi: dall’affidare alla cavernosa ugola del leader dei Foetus JC Thirlwell una vertiginosa song da musical come “America’s so straight” a mixare in “Greedy and pathetic” i toni da standard della voce di Sam Mickens, ad una lunga convulsa esplorazione della chitarra dell’ospite Mike Barr, fino agli innesti della title track, condotta in equilibrio fra canzone ed improvvisazione ed affidata alle istrioniche dori vocali del cantante dei M.D.C. Dave Dictor.
Ma gli effetti più sorprendenti scaturiscono dalla vera e propria riscrittura del materiale originario : l’ intro cadenzata della belligerante “Dead cops” che sfocia in un dialogo swingante, base per il lungo solo del pianoforte di Saft, le ampie volute pianistiche di “And so you know“, in linea con molte composizioni “ambientali” del pianista staunitense, una “Dick for brains” in odor di nozze fra prog e jazz con un insolito uso solista del mellotron, ed “Annie Olivia“, che risolve la sua caracollante catena melodica in un finale dominato dall’elettronica.
Sposare punk e jazz significa però anche tentare di comporre una dialettica fra generi sulla carta incompatibili e due brani dall’ andamento maggiormente sofferto e frastagliato rappresentano il travaglio di questa operazione : “Business on parade“, faticosamente in cerca di una propria identità fra le dense cortine free della chitarra dell’ospite Mike Barr ed un anelito alla forma, e “She wants a partner with a lust for life“, aperta da una scura intro del contrabbasso con archetto che gradatamente assume i contorni di una lenta ballata dark.
Per ultimo ho lasciato il brano iniziale, “Corporate Deathburger“, e qui, se seguirete il consiglio della nota di copertina che raccomanda come ascolto supplementare il primo album dei M.D.C., avrete svelata la sopraffina capacità di questo trio di ricavare dai tre accordi di un inno punk di poco più di un minuto un elegante e raffinato gioiello swing dalla mille sfacettature e rifrazioni.
https://mikepride.bandcamp.com/track/corporate-death-burger