CARTOLINE – CHARLES LLOYD QUARTET A PADOVA

Nonostante la lunga carriera e l’altrettanto consolidata frequentazione delle platee italiane, ogni concerto di Charles Lloyd si rivela sorprendente. A Padova si può parlare poi proprio di un trionfo, con un Teatro Verdi pieno di un pubblico emozionato e fortemente coinvolto.

Eppure, sotto un certo profilo Lloyd è una figura ‘inattuale’: la sua musica è sempre contraddistinta da un nucleo caldo e sensuale che arriva da anni lontani, totalmente estraneo alla temperie musicale del nostro oggi (ed anche del più recente passato prossimo).

Non dimentichiamo che stiamo parlando del personaggio carismatico che nel bel mezzo della Summer of Love era capace di contendere il palco del Monterey Festival (ben più mitologico di Woodstock, tra l’altro) a gruppi rock sulla cresta dell’onda, che di fatto avevano costretto il jazz dell’epoca in un malinconico Aventino. Ed il tutto per giunta con una musica quantomai sofisticata, ma al tempo stesso intensamente comunicativa.

A proposito di anni lontani e fiuto di talent scout. 1966, Molde, Norvegia: guardate un po’ chi tiene a battesimo il guru Lloyd…. (vedi descrizione del video). Allora qualcuno non si formalizzava neanche di fronte ad un pianoforte bisognoso di accordatura…. 😉

Negli ultimi anni abbiamo assistito a varie apparizioni di Lloyd, via via con formazioni diverse, e tutte perfettamente equilibrate: la sua mano di leader e talent scout rimane ancor più confermata dalla grande qualità della band apparsa a Padova, ancora una volta rinnovata. Ha spiccato soprattutto Gerald Clayton, indubbio talento in proprio del piano jazz contemporaneo, ma che nell’occasione ha mostrato grande sensibilità e finezza come accompagnatore: ed è lì che a mio avviso si mostra la stoffa del grande pianista jazz, molto più che in trip egotistici che vanno molto oggi. Clayton modula il suo stile in modo da sostenere, avvolgere ed arricchire la già raffinata tavolozza del leader: mette in campo un pianismo denso di colore e sfumature, ma al tempo stesso lontano da facili sentimentalismi ed anzi spesso punteggiato da frequenti e sottili dissonanze. Sulla stessa lunghezza d’onda si pone la ritmica di Reuben Rogers al basso e di Kendrik Scott alla batteria, anche qui sottigliezza ed eleganza a profusione: il risultato finale è un’immagine di gruppo di notevole omogeneità e perfettamente complementare al solismo rapsodico e sfumato di Lloyd, denso di intense pause e di una sempre vigile cura del suono.

E forse si deve proprio a questa maestria di caporchestra la stupefacente performance di Lloyd, che ad 83 anni suonati è rimasto in scena senza risparmio dal primo all’ultimo minuto di un concerto durato oltre un’ora e mezza (che tra l’altro lo ha visto quasi sempre al sax tenore…): non solo, ma di fronte alle lunghe ovazioni finali del pubblico ha concesso un primo bis, seguito poi a furor di popolo da un secondo, un semplice ed anonimo blues che sembrava dovesse esser affidato solo a Clayton, Rogers e Scott, ed invece dopo poche battute ha visto ricomparire un Lloyd visibilmente emozionato, che ha ripreso la scena con il solo forse più intenso ed ispirato di tutta la serata. Quattordici minuti spaccati… . Un’isola di luminoso calore in tempi freddi e bui. Milton56  

Ed eccolo, l’incorreggibile seduttore di platee al Teatro Pavòn di Madrid, pochi giorni dopo il concerto padovano, con medesima formazione.

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