DANILO BLAIOTTA TRIO – The White Nights Suite – Filibusta Records – Supporti disponibili: CD

«Ebbene, avete visto che siamo ancora vivi?» (Nastenka, rivolta al sognatore/voce narrante. Cap. 2 – Seconda Notte).
“The White Nights” rilegge musicalmente i capitoli di un celebre racconto giovanile del gigante Fedor Dostoevskij declinandoli in forma di suite in 11 movimenti. Blaiotta è pianista da tenere in alta considerazione, l’evidente ed assai solida preparazione classica si denota anche nella scrittura dei temi, che lungi dal risultare ingessati, appaiono compiuti ed aderenti al mood, squisitamente jazz anche nel colorare di blue notes brani ispirati e debitori di certa musica del primo Novecento russo e francese.

Il leader predispone così un potente congegno ad assetto variabile con cui guida tra le brevi notti di Pietroburgo il suo stabile trio, dallo spiccato interplay, con Jacopo Ferrazza, bassista inappuntabile oltre che compositore e dal curriculum di collaborazioni sempre più interessante ed il sodale Valerio Vantaggio, un elegante drummer, entrambi classe ’89. Al trio, che si muove con brillante spontaneità, si aggiungono ospiti diversi a seconda degli episodi, e così troviamo un delizioso Fabrizio Bosso a dialogare col pianista in “The Meeting”, la chitarra tagliente di Stefano Carbonelli nella veloce e nervosa “The Man in Tails”, un intenso Achille Succi ad introdurre “The Letter” mentre è poi l’intero sestetto a regalare emozioni hardbop nel fast tempo “Third Night” e cambi d’atmosfera che virano dalla ballad più languida ad un climax free nell’intensa “Fourth Night – The Idyll”, l’episodio che prediligo, un idillio che s’accende, divampa e poi si rompe sul più bello, rifrangendosi con una realtà livida che fa crollare ogni sogno.
“The Morning”, in pianoforte solo, è la mattina dopo l’addio, due minuti di esausta, dolce-amara riflessione sull’ingiustizia dell’amore, la durezza della vita che riserva però sempre un pugno di momenti incancellabili.
“Dio mio! Solo un istante di felicità. Ed è forse poco per tutta la vita d’un uomo?”.
Se, come crediamo, amate la musica e la grande letteratura potreste scoprirvi a leggere o rileggere questo classico immortale mentre il vostro impianto stereo suona il più bel disco di jazz italiano uscito nel 2021, a parere di chi scrive. (Courtesy of AudioReview)
Bell’album, con concezione di ampio respiro. Temo che l’ampia articolazione dell’organico renda difficile replicarlo dal vivo nel nostro tribolato circuito, ma magari con una versione alleggerita (non troppo, però)……. Milton56
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hanno suonato recentemente all’AlexanderPlatz di Roma in formazione completa, ma non sarà facile beccarli in giro, e poi la vita dei concept album è sempre tortuosa… Comunque un bel segno di vitalità in questi tempi balordi per il Jazz suonato in Italia, c’è una leva di neotrentenni che ha energia, sufficiente maturità e che dovrebbe solo suonare di più per migliorarsi sempre.
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…. ecco, ‘suonare di più’, questa è la chiave di volta per la maturazione e l’emersione di questa new wave jazzistica che sta battendo qualche colpo veramente significativo. Certo non sta solo in loro partire alla carica di un circuito intasato dalle cover degli hit dello Zecchino d’Oro di 50 anni fa, ma non devono nemmeno cedere alla tentazione di rinchiudersi nel tinello di casa con rare sortite verso i sempre più traballanti studi di registrazione. Insomma, la necessità non è sempre virtù, meno che mai adesso. Milton56
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