Tony Scott: a jazz life

by andbar & milton56

Se vi capitasse di cercare su internet informazioni su Tony Scott, il primo risultato ottenuto sarà quello di Anthony David Leighton “Tony” Scott regista e produttore cinematografico , fratello del regista Ridley e direttore di film come “Top Gun” o “Beverly Hills Cop”.  

Solo molte righe dopo comparirà la scheda del Tony Scott che qui ci interessa, ma forse sarebbe meglio chiamarlo Anthony Joseph Sciacca, il vero nome che evidenzia le origini siciliane del musicista di cui è appena trascorso il centenario dalla nascita,- avvenuta il 17 luglio 1921 nel New jersey, secondogenito di Giuseppe e Nicolina, originari di Salemi in provincia di Trapani ed emigrati a New York dove si conobbero e sposarono.

Questo esito è, in qualche modo, sorprendente, considerata la carriera ed il rilievo di Scott nella storia del jazz, ma anche significativo di una vicenda umana ed artistica che ha percorso una parabola, dagli anni ’50 del 1900 ai primi anni 2000, dalla vetta dell’olimpo dei migliori musicisti di jazz al mondo fino alla deriva degli anni finali ed al semi oblio attuale.

Il percorso che ho compiuto dentro a questa singolare storia, e che vi propongo qui, parte proprio dalla Sicilia, ed in particolare da un film che una decina di anni fa un regista di quella terra come Franco Maresco ha voluto dedicare al musicista siciliano per origini familiari, tornato a vivere in Italia a partire dagli anni ’70 e qui scomparso nel 2007 a Roma. Il titolo, che spiega già molte cose, è Io sono Tony Scott, ovvero come l’Italia fece fuori il più grande clarinettista del jazz . Ma in questa mia ricerca mi sono imbattuto anche in alcune incisioni ragguardevoli datate fine anni ’50 , nell’ultimo disco inciso da Scott di cui ho rubato il titolo per questo articolo, in un recente omaggio del jazzista contemporaneo Francesco Bearzatti ed in uno che avrà luogo a Genova nei prossimi mesi.

Andando con ordine, il film di Maresco racconta già praticamente tutto della storia e della personalità di Scott: Gli esordi quindicenne, la passione per Charlie Parker, il be bop applicato al clarinetto, il dualismo con Buddy De Franco, la collaborazione con Ben Webster, la frustrante esperienza con Duke Ellington, dove Scott, ingaggiato come sassofonista, si trovò di fronte a colleghi che non gli comunicavano i pezzi da suonare, costringendolo a seguire in diretta gli spartiti, il suo impegno a favore dei colleghi di colore, convinto che “jazz is black“, e pronto anche ad adoperare agganci con il mondo dell’ “organizzazione” per procurare ingaggi e scritture, la collaborazione e l’amicizia con Billie Holiday, la scoperta di Bill Evans, le vittorie al poll di Downbeat nel 1955,1957, 1958 e 1959 l'”invenzione” della world music e “Music for Zen meditations” , il trasferimento in Italia negli anni ’70 origine di un declino progressivo che lo condusse a vivere spesso in condizioni di precarietà fino alla patetica ospitata tv da Bonolis.

Un racconto partecipe ed appassionato, condotto con rigore, affetto ed ironia di come il nostro paese, dimentico della grandezza passata del musicista, considerò Tony Scott con sufficienza, enfatizzando quella componente del suo carattere che lo conduceva ad assumere toni da fenomeno circense, e creando intorno a lui una cortina di sufficienza se non proprio di esasperata intolleranza. Nelle due ore del film sfilano testimonianze di musicisti ed addetti al lavori che ebbero a che fare con Scott, e l’impressione che ne deriva è quella di un uomo dal carattere esuberante e mutevole, combattuto fra l’esigenza di sbarcare il lunario e quella di difendere la propria libertà artistica, a costo di finire sul lastrico, senza una casa, ospite di musicisti e promoters fino a quando veniva tollerato.

Sembra davvero incredibile che quel vecchio signore con barba da Babbo Natale e lunga chioma bianca che negli ultimi anni sul palco raccontava barzellette o si lanciava in improbabili imitazioni, sia lo stesso che nel 1956 incideva questo raffinato disco in quartetto ( con Mundell Lowe, Shadow Wilson e Teddy Kotick ) che contiene una delle più belle versioni ascoltate dello standard “Everything happens to me“.

Oppure colui che l’anno seguente, a Novembre incise con Milt Hinton, Henry Grimes e Paul Motian ed un giovane non ancora trentenne timido pianista queste sessions con ospiti Jimmy Knepper e Clark Terry. La fine di Bill Evans fu uno dei grandi rimpianti di Scott che non si perdonava il fatto di avere introdotto il ragazzo all’ambiente del jazz, avviandolo sulla strada della gloria ma anche dell’autodistruzione

Con un salto temporale azzardato, la mia guida atterra su quella che è l’ultima incisione di Scott, nel 2007, pochi mesi prima della morte: “A jazz life” pubblicato dalla Kind of blue records con il corredo di un dvd delle sessions tenutesi ai Maxine Studios di Milano, mette insieme una manciata di standards nei quali il clarinetto di Scott è accompagnato dala tromba di Shane Endsley, dal sax di Ben Wendel, dal piano di Adam Benjamin dal basso di Kaveh Restegar e dalla batteria di Nate Wood ora membro stabile della band di Danny Mc Caslin. Ascoltare il clarinetto di Scott qui è quasi straziante per la difficoltà che il nostro trovava nell’affrontare temi come “Caravan“, “Come sunday” o “Satin doll” : intonazione, tempo e pronuncia sono andati, resta quel feeling ruggente che non lo ha abbandonato e che lo porta sul finale ad esibirsi al pianoforte in una versione parlata del suo brano preferito in assoluto, quella “Lush life” di Billy Strayhorn negli anni passati divenuta una sorta di sigla di famiglia. Un epilogo davvero struggente, circondato da quei ricordi di un tempo del jazz trascorso, lasciati in eredità e segno del proprio passaggio.

E nell’anno del centenario c’è chi ha raccolto quel segnale, allestendo uno speciale ricordo di Tony Scott, attraverso una narrazione musicale della vita del clarinettista. Si chiude nello stesso modo , con “Lush life” per clarinetto solo, il disco di Francesco BearzattiPortrait of Tony” (Parco della musica records), registrato con Federico Casagrande, Gabriele Evangelista e Zeno De Rossi, ospiti Marco Colonna e Daniele Tittarelli, ultimo arrivato nella galleira degli eccentrici combattenti costruita nel tempo dal musicista friulano (con Tina Modotti, Malcom X , Zorro). Negli undici pezzi che lo precedono si stila una piccola tony’s story, dal be bop al blues, da Billie a Bird, dalle meditazioni Zen al folklore siciliano (A night in Salemi), da Harry Belafonte, di cui Scott fu per un periodo direttore musicale, agli ultimi periodi “under the bridge” creando musica originale, vibrante e passionale come forse sarebbe piaciuto a Tony.

Un lavoro passato un po’ in sordina al suo esordio, forse a causa dell’ ancora forte eco di ‘Zorro’, il penultimo dei ‘film musicali’ di Bearzatti, che ha circolato parecchio sui palchi italiani, evidentemente con favore di pubblico per i suoi colori e vivacità accattivanti.
Con ‘Tony’ siamo su di un altro piano, e bene ha fatto Umbria Jazz Winter ad offrirgli un’occasione dal vivo documentata per Tdj dalle seguenti parole del collega Milton56.

Se non vado errato, è la prima volta che un jazzmen diventa ‘protagonista’ delle ‘pellicole sonore’ di Bearzatti. Il calore e l’intensità con cui il nostro ha introdotto i vari brani che rappresentano i vari ‘quadri’ dell’affresco dedicato a Scott fanno intuire un notevole coinvolgimento emotivo nella vicenda di un musicista integro e senza compromessi, un “artista vero che seppe rinunziare a denaro e successo per inseguire una sua strada anche a costo di errori e contrasti’, cito a memoria le parole di Bearzatti. Mi sbaglierò, ma c’è qualche indizio di una certa identificazione: per carità, nessuno augura a Bearzatti le pagine oscure e problematiche degli ultimi anni italiani di Scott, ma in lui pulsa parecchia dell’integrità e della passione che muoveva il musicista italoamericano.
Lo si capisce immediatamente quando Bearzatti imbraccia il clarinetto, strumento alquanto demodè sin dai tempi del bebop per asserite difficoltà di adattarne la tecnica strumentale al linguaggio del nuovo jazz degli anni ’40. Un luogo comune prontamente sfatato dallo strumento di Francesco, da subito contraddistinto da un fraseggio scattante e serrato, con un suono chiaro e tagliente che serve repentine escursioni dinamiche e timbriche. Un’eloquenza inarrestabile che attraversa una serie di brani dall’ambientazione sonora e dalla temperatura emotiva sempre mutevoli: un vero viaggio in una vita avventurosa e movimentata, e non solo sui palchi.
Non è facile stare a fianco di una forza della natura come Bearzatti, ma la chitarra elettrica di Federico Casagrande è il suo perfetto complemento: sobrio e misurato, con un fraseggio raccolto e concentrato, sa giocare su colori sfumati ma intensi, che molto contribuiscono al bell’equilibrio di questo quartetto. Un vero jazzman alieno da ‘chitarrismi’ spettacolari ed affettati: non ce ne sono molti dalle nostre parti (ed infatti sembra che lavori molto in Francia).
Dove l’esame del Bearzatti leader strappa la lode è nella scelta della c.d. ‘ritmica’ (continuiamo ad usare questo termine più che altro per comodità e convenzione). Con Zeno de Rossi alla batteria c’è lunga consuetudine, che qui frutta un supporto denso di leggeri e sottili accenti sui piatti, che arricchiscono non poco la vibrante palette della band. Il basso di Giovanni Evangelista, asciutto e limpido, guadagna a ragione consistenti spazi solistici che donano molto al drive ed alla tensione di questa bella band. Uno dei due-tre live veramente imprescindibili sull’attuale scena italiana.

Una clip, di grande qualità tecnica, ma purtroppo breve… Però rende bene l’atmosfera del concerto di Orvieto

Ultima citazione per dimostrare come in molti si stiano preoccupando di ricollocare Scott nel posto che merita nella storia del jazz: il prossimo 3 aprile al mattino, al Teatro Modena di Genova andrà in scena “Sono un clarinettista siciliano:Tony Scott“, uno spettacolo di parole e musica ideato dal critico musicale Guido Festinese, nuovo episodio di una serie che comprende già analoghe pieces dedicate a Monk e Petrucciani. Con la cantante Simona Bondanza, il clarinetto di Stefano Guazzo, il pianoforte di Fabio Vernizzi, il contrabbasso di Riccardo Barbera e la batteria di Rodolfo Cervetto, il palco sarà di nuovo per Tony Scott.

2 Comments

  1. Ottimo ricordare l’immenso Tony Scott – complimenti per l’articolo – però prima del salto temporale fino al 2007 ricorderei gli ottimi lavori registrati per casa Philology del compianto e mai troppo lodato Paolo Piangiarelli, in particolare lo splendido “Homage To Lady Day” del 1995 con il quartetto di Franco D’Andrea…Tony Lives!!!
    Matteo Piazza

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  2. Certo che ce la ricordiamo la Philology di Piangiarelli, basta guardare gli articoli dei giorni scorsi. Comunque il più bel regalo che i fan di Tony Scott possono farsi oggi è andare ad ascoltare dal vivo il quartetto di Bearzatti, sperando che capiti l’occasione. Il disco è bello, ma il live è veramente un’esperienza…. siamo quasi al transfert, come dicono quelli della psicanalisi…. Milton56

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