Un referendum fallito

Non è possibile in Italia fare un referendum per scegliere i musicisti jazz più popolari. Sono queste le conclusioni alle quali è arrivata “Musica Jazz”, la rivista di Giancarlo Testoni e Arrigo Polillo, che aveva preso un’iniziativa in questo senso, sull’esempio di quanto fanno da molti anni i periodici jazzistici di tutto il mondo.

La ragione del fallimento del referendum italiano è molto semplice: le schede truccate o comunque irregolari inviate dai partecipanti. Nelle schede bisognava votare sia per i musicisti italiani, sia per quelli stranieri. Inoltre, bisognava rispondere ad alcune domande. Una di queste era: “Da quanto tempo leggete la nostra rivista?” Molti hanno risposto che la leggono da trent’anni o più, mentre “Musica Jazz” è uscita per la prima volta 19 anni fa. Si sono viste poi dozzine di schede riempite chiaramente dalla stessa mano, e altre che, mentre rivelavano predilezioni piuttosto bizzarre per determinati musicisti italiani magari poco noti, sembravano indicare uno scarso bagaglio di informazioni jazzistiche nella parte riguardante i musicisti stranieri i cui nomi erano orribilmente storpiati.

Qualcuno, insomma, ha cercato di procurarsi un quarto d’ora di celebrità votando per se stesso, o pregando gli amici di farlo. Il lato più curioso dell’operazione è dato dalle notevoli spese postali affrontate e dall’ingenuità di chi non ha pensato a quanto sarebbe stato facile scoprire la falsità di una scheda in cui, per esempio, la pianista Mary Lou Williams era indicata come un complesso vocale. Il risultato è stato questo: che la rivista milanese ha potuto prendere in considerazione soltanto quelle schede in cui erano espresse preferenze per i musicisti stranieri.

(“L’Espresso” – 10 novembre 1963)

Questo articolo de L’Espresso è un recupero storico per i più giovani e per gli anziani (come il sottoscritto) che perdono colpi. Ma anche al giorno d’oggi la situazione non è poi molto diversa: il Jazzit Award del magazine Jazzit è stato sospeso e rinviato a data da destinarsi, con contromisure ad hoc, per gli stessi motivi di claque (per essere eleganti). I risultati delle ultime edizioni erano infatti piuttosto discutibili se non imbarazzanti. Giusta quindi la decisione del direttore Luciano Vanni di prendere tempo e contromisure adeguate.

Il Top Jazz coinvolge giornalisti e addetti ai lavori a vario titolo e quindi non ha problemi di tifoserie, ma da anni non si pubblicano più ne i nomi dei votanti ne le loro scelte, e questo non aiuta la trasparenza dell’operazione.

Perfino noi, nella modestia dei nostri mezzi e nella marginalità del nostro piccolo referendum di fine anno abbiamo notato voti doppi dallo stesso indirizzo IP. E non abbiamo più esteso la scelta ai protagonisti italiani per evitare che il fenomeno dilagasse. Insomma, gli unici referendum che hanno funzionato in Italia sono stati quelli sulla scelta tra monarchia e repubblica, sull’aborto e il divorzio. E pure qui di problemi ce ne sono stati e ce ne sono…

1 Comment

  1. 1963. Un’Italia ben diversa da quella attuale, nei cinema girava ‘Il Gattopardo’ di Visconti ed in libreria si trovava ‘La Vita Agra’ di Bianciardi. Eppure già allora si registravano questi episodi che definirei senza mezzi termini ‘deprimenti’, Ed allora i modelli di comportamento non erano ancora ipotecati dalla smania di apparire a tutti i costi, compreso quello di coprirsi di ridicolo. La cosa che mi intristisce di più è che il jazz in Italia avrebbe potuto rappresentare una sorta di ‘eccezione culturale’, perchè non è solo una musica, ma anche un mondo con valori estetetici le mille miglia lontane da queste grottesche gaffes degne di commedie all’italiana di serie B. Purtroppo a fare l’immagine di questo Paese sono sempre gli ‘italiani generici medi’…….. che in questo caso tolgono voce ed espressione a molti altri che avrebbero diritto di esprimersi. Resto del parere che il nosto jazz soffra pesantemente di questo silenzio forzato. Milton56

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