CARTOLINE – BYRON WALLEN ROBERTO OTTAVIANO ‘AFRICAN FLOWERS’ A FERRARA

Rieccoci al Jazz Club Ferrara, attratti da una proposta intrigante. A dir la verità, in prima battuta l’elemento di maggior richiamo appariva essere la presenza di Roberto Ottaviano in compagnia di un’inedito gruppo italiano che allineava Paolino della Porta al basso (!), Alfonso Santimone al piano (cfr. Tower Jazz Band ed Unscientific Italians, ne abbiamo già parlato) ed Enzo Zirilli alla batteria.

La figura dell’ospite Byron Wallen alla tromba rimaneva invece avvolta in una certa oscurità. I primi responsi dell’Oracolo Digitale accendono subito una notevole curiosità. Si tratta di un musicista inglese che ha ormai doppiato il capo della cinquantina senza inquadrarsi in durature militanze di gruppo, ma frequentando ecletticamente ambienti musicali diversi, non esclusi Chaka Khan e Style Council. Ma le sue radici musicali ‘altre’ (viene da una famiglia originaria del Belize) dopo il perfezionamento sullo strumento con Jimmy Owens e Donald Byrd (!) lo portano a stretto e prolungato contatto con l’ambiente musicale sudafricano, matrice jazzistica tuttora molto fertile anche dopo il momento d’oro degli anni ’60 e ’70. Un profilo che lo avvicina molto all’attuale new wave del jazz di South London: non a caso sono in parecchi a ritenerlo una sorta di fratello maggiore e mentore degli Shabaka Hutchings, Nubya Garcia, Theon Cross e co. Last but not least, il nostro ha un background universitario di tutto rispetto in campo filosofico e matematico.

Non stupisce quindi che l’insegna del gruppo sia ‘African Flowers’, dichiaratamente programmatica.  Wallen si rivela trombettista dal suono caldo e pastoso, che genera un fraseggio morbido e duttile, alieno da virtuosismi atletici che ricorrono spesso tra i suoi colleghi; le sue caratteristiche strumentali sono perfettamente in linea con la distesa cantabilità della matrice sudafricana cui è ispirata la musica del gruppo. Alle nostre latitudini non riesco ad immaginare nessun partner possibile migliore di Ottaviano, già da tempo incamminato sulla via di una musica dai colori caldi, intensi ed e percorsa da un flusso di passionale espressività.   Per l’occasione, e per assicurare forse migliore amalgama dei timbri della front line, Ottaviano ha utilizzato estesamente il sax alto, regalandoci anch’egli un fraseggio morbido, fluido ed al tempo stesso scattante che ben si sposa con il suo suono caldo in impeccabili unisoni con la tromba di Wallen.

Non va creata però l’impressione che il gruppo sia una mera riproposizione di atmosfere e stilemi della Brotherhood of Breath: infatti piano, basso e batteria forniscono un contrappunto dialettico rispetto alla frontline, facendo emergere tratti più spigolosi ed aggressivi. Molto di questa dialettica si deve al notevole pianismo di Santimone, nervoso e contrastato, che indulge spesso ad improvvisi cluster e marcate sortite percussive. Salvo sorprendere poi in alcuni momenti con un imprevisto penchant latino (mondo musicale con cui Santimone ha molta frequentazione anche a livello teorico). Altra grande risorsa della band è il basso di Paolino della Porta. Certo, lo conoscevamo già come uno dei più dotati bassisti italiani (esser chiamato dagli Oregon per una intera tourneè non è cosa che capita a molti in Europa), ma qui ha dato un contributo di potenza ed energia difficilmente eguagliabile: la sua pulsazione vigorosa e netta è onnipresente e caratterizza in modo indelebile il sound di gruppo, mentre i suoi numerosi assoli gli imprimono ricorrenti sferzate di dinamismo. Il drumming netto e marcatamente accentato della batteria di Zirilli dà ulteriore apporto di tensione alla band, bilanciando anch’esso la propensione lirica della frontline.

‘African Flowers’ a Bari (foto credits Gaetano di Gennaro e Beatrice Zippo)

Inutile dire che la seduttività incantatoria dei temi nitidamente disegnati ha rapidamente riscaldato ancora più del solito la raccolta platea del Torrione, con un sempre più evidente effetto di ritorno verso il palco che è andato crescendo per tutti e due i set della serata, quasi due ore di musica che purtroppo sono trascorse in un lampo. Dico ‘purtroppo’ perché a quanto sembra questa musica correrà nel vento: non pare prevista una documentazione discografica di questo gran bel gruppo, che in soli tre giorni di attività concertistica (oltre a Ferrara, altre due date a Torino ed a Bari) ha raggiunto una rara ed invidiabile omogeneità e scioltezza (e non è solo questione del gran mestiere dei suoi componenti, qui giocano evidenti affinità elettive). Un disco che non avremo, tra molti altri alquanto prescindibili. Evidentemente la situazione in cui versa la nostra discografia non consente rapide e tempestive proiezioni al di fuori dell’ambiente protetto (ma talvolta un po’ arido ed asettico) dello studio per cogliere occasioni come questa, che si dispiegano nella loro pienezza solo nella dimensione live. Altro fattore di impoverimento della nostra scena, purtroppo.

Ahimè, anche YouTube offre poco di recente su Byron Wallen: contentiamoci di questa clip, che quantomeno evidenzia la personalità dello stile strumentale del trombettista grazie al confronto con una classica ballad come ‘You don’t know what love is’. Milton56    

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