Lettere al Direttore/3 Con risposta

Premetto che sono un amatore del jazz niente affatto tradizionalista, cioè di quelli che apprezzano solo il jazz tradizionale: al contrario, tutti i periodi e le forme del jazz mi interessano. Premetto anche che, per quanto mi riguarda la tecnica e la teoria musicale, so solo che esistono sette note.

Ora, mi è capitato di assistere alla televisione ai due programmi de “I Maestri del Jazz” dedicati a Coltrane e a Rollins, che, contrariamente al solito, non avevo potuto ascoltare nei concerti milanesi. Dire che sono rimasto deluso è la frase esatta, ma molto più per il tanto osannato Coltrane che per Rollins.

Beati i musicisti come Basso, i quali riescono a seguire, e capire fino al 70 per cento, quello che Coltrane esegue; e un plauso a loro che hanno l’onestà di riconoscerlo. Io mi domando, ed è questo che vorrei mi spiegasse, come fa uno come me, e penso siano in parecchi nelle mie condizioni (cioè che non conoscono la musica), non dico a capire, ma anche soltanto a seguire le fantastiche evoluzioni di Coltrane, infiorate di sberleffi come qualcuno ha voluto chiamarli, inauditi.

Qualche anno fa i critici (e facevano benissimo) avevano parole di fuoco per quelle jam session organizzate da Granz per il JATP, dove gli stessi sberleffi, o pressappoco, facevano tipi come Illinois Jacquet o Flip Phillips, cercando di divertire il pubblico che, bontà sua, si divertiva. Forse anche Coltrane cerca di divertire il pubblico.

Mi sembra che nel jazz sia in atto una evoluzione simile a quella in atto nelle arti figurative: l’artista fa cose che ben pochi sono in grado di capire, o almeno capiscono per il 70 per cento; e il pubblico (quello che non è musicalmente preparato) non capisce, oppure fa finta di capire.

Anche invocando la libertà di espressione tanto cara agli artisti, questo non mi sembra, non dico onesto, ma giusto verso il pubblico.

Franco F. (Sesto S.Giovanni)

[…]

“E’ musica astrusa, esoterica, non la capisco e non mi fido. Perché i critici che criticavano le logorroiche jam-session del “Jazz At The Philharmonic” ora lodano Coltrane e Rollins, che mi lasciano perplesso e deluso?”

“Il jazz è arrivato a un punto morto, a un cul-de-sac in cui le idee non ci sono più, esiste solo una tecnica, una ricerca del suono per il suono, i temi sono gracili, mancano di personalità…. E allora non è meglio ascoltare la musica seria contemporanea, per esempio delle belle pagine di Stravinsky, anziché annoiarsi con Rollins?”

Tutti e due i lettori (vedi Lettere al Direttore/1) hanno una certa parte di ragione. Oggi, è vero, il jazz si è indirizzato, seguendo più o meno inconsciamente le strade accidentali dei musicisti “seri” contemporanei, verso le accidentate strade di uno sperimentalismo che sembra ripudiare la costruzione musicale e preferirle la macchia sonora, gli “stracci” di suono, la dissoluzione dell’idea nel new-sound, i cui confini col rumore, un tempo stabiliti con un certo rigore dalla fisica, oggi vengono disinvoltamente calpestati. Francamente non so se la musica di Karlheinz Stockhausen – cito un grosso nome dei “seri” più arrabbiati – e quella di Coltrane o anche di Coleman (al quale ultimo è d’uopo tuttavia riconoscere una più netta personalità) possa considerarsi un punto di partenza o una tappa verso una nuova forma d’arte musicale: certo non è un punto d’arrivo. […] Non vorrei peraltro che la tante volte constatata “crisi” del jazz attuale conducesse alle solite profezie da Cassandra. No, il jazz non è morto e non potrà morire: sono le grandi personalità che ogni tanto intervengono, come fresca corrente impetuosa, a rimuovere le acque stagnanti- […] Coltrane, Rollins, artisti tormentati dallo stile inquieto e instabile, sono assai probabilmente degli artisti di transizione. […]

Non troppo pessimismo dunque, anche se i dubbi e le amarezze hanno serie giustificazioni in questo momento storico.

Giancarlo Testoni

(“Musica JAZZ” – ottobre 1963)

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