CARTOLINE – IMMANUEL WILKINS QUARTET A FERRARA

Incontrare sul palco un gruppo molto ammirato su disco porta con sé sempre una lieve inquietudine, il timore di non scoprirlo all’altezza della rifinita pulizia del lavoro in studio, senza contare il fatto che nelle tourneè transatlantiche è fatale qualche ridimensionamento d’organico (soprattutto di questi tempi).

Una copertina piuttosto enigmatica…….

‘The Seventh Hand’ è arrivato tardi rispetto ai nostri ‘best-ioni’ 2021, in cui avrebbe senz’altro conquistato una posizione di assoluto rilievo e sono disposto a scommettere che si sarebbe piazzato in tutte e quattro le liste ad onta della grande diversità di gusti e tendenze degli autori. Questo album complesso, sofisticato, a tratti enigmatico ed imprevedibilmente percorso da una vera e propria faglia è stato comunque il nostro disco del mese di febbraio, e speriamo che molti di voi l’abbiano ascoltato con la dovuta attenzione.

In partenza appariva esclusa la possibilità di trasporlo sic et simpliciter nella tournée europea di Wilkins: impensabile portarsi dietro il Farafina Kan Percussion Ensemble, problematico anche il coinvolgimento della flautista Elena Pinderhughes, che tra l’altro ha un intenso rapporto con la band di Christian ‘Atjiunde’ Scott. Anche l’impaginazione del disco, con la sua lenta progressione tra brani di atmosfere sempre diverse, non era compatibile con una presentazione live. Ma in compenso abbiamo avuto il nocciolo duro della band (Wilkins all’alto, Micah Thomas al piano, Kueku Sumbry alla batteria e Tyrone Allen al basso, unica sostituzione), ed una selezione di brani dal disco di esordio ‘Omega’ nel primo set e da ‘The Seventh Hand’ nel secondo. Questo sforzo di integrità (notevole dato l’attuale dissesto del circuito musicale internazionale) lascia trasparire una grande attenzione del nostro giovane leader per il suo esordio europeo.

Delle due date italiane, io ho scelto quella di Ferrara, anche pensando alla reazione tra un simile gruppo ed un ambiente ‘caldo’ come quello del Torrione. E mi sembra proprio che la scommessa abbia ripagato di gran lunga la posta dei 220 chilometri necessari. Sin dalle prime battute appare del tutto evidente l’omogeneità e l’organicità della band, per nulla scalfita dalla sostituzione e dalla rinunzia e dal ridimensionamento della palette timbrica.

Wilkins ha un suono chiaro, esente da vistose escursioni dinamiche e funzionale allo sviluppo di un ‘fraseggio orizzontale’ su lunghi archi melodici dalla trama fitta e densa: inevitabilmente il pensiero va al primo Lee Konitz, anche se qui c’è più esplicita tensione e costante urgenza. Non appena lasciata alle spalle la cornice dei bei temi di ‘Omega’ e di ‘The Seventh Hand’ il discorso solistico di Wilkins si fa denso ed intricato, ma allo stesso tempo carico di una continua intensità che non viene meno nemmeno nei brani a tempo più moderato e di ispirazione più lirica e meditativa.

‘Intensità’ e ‘densità’ sono anche le parole che meglio definiscono l’insieme del gruppo. Rivolgersi allo sgabello del pianista alla ricerca di un possibile ‘uomo d’ordine’ significa bussare alla porta sbagliata nel caso di Micah Thomas. Il suo pianismo estremamente mobile ed aereo rappresenta infatti una sorta di ‘punto di fuga’ nell’immagine di gruppo, ben lungi dal costituire un pilastro di appoggio. Nella fitta trama del quartetto il pianista è l’uomo dello spazio, della proiezione verso l’orizzonte. Tutte le risorse dello strumento sono impegnate con voli da un capo all’altro della tastiera affrontati con facilità quasi oltraggiosa. Le numerose sortite solistiche concessegli (a ragione) ci ricordano che siamo già in presenza di un maturo leader in proprio, come il suo album ‘Tide’ (2020) già ci rivela con evidenza.

‘Tide’, un esordio di grande autorevolezza

Una delle caratteristiche salenti del quartetto è quella di riconfigurarsi in corsa in una sorta di costante ‘geometria variabile’: oltre al trio incentrato su Thomas, vediamo in azione anche quello guidato da Wilkins, che in questa dimensione si concede delle inarrestabili e travolgenti cavalcate solistiche che non conoscono alcun momento di pausa o di ripetizione, in un flusso inarrestabile di idee veramente entusiasmante, particolarmente nel secondo set, dove la chimica tra il gruppo ed il pubblico ha conosciuto un vero apice. Ma ogni geometria variabile ha bisogno di un perno, e tutto quello di cui abbiamo parlato sarebbe stato del tutto impensabile senza la prestazione maiuscola ed entusiasmante di Kueku Sumbry. La sua batteria è avvolgente ed onnipresente, con una scansione spumeggiante sui piatti e punteggiata da accenti vistosi e dinamici sui tamburi che imprimono al gruppo un drive veramente inarrestabile. La perentorietà imperiosa di questo drumming fa sì che spesso Sumbry appaia come il vero leader e regista di molte situazioni, in cui il sax di Wilkins si appoggia completamente a lui per la struttura di gruppo, sostenuta anche dall’ energico, determinato ed anch’esso ubiquo basso di Tyrone Allen. Parlare di ‘ritmica’ a proposito di questi due è del tutto fuor di luogo, sono il vero cuore pulsante della band.

Al termine di questa lunga ed entusiasmante performance nell’ascoltatore italiano affiora però una vena di malinconia: perché questi ‘twenty-something’ (nessuno nel quartetto di Wilkins si avvicina alla trentina) sono capaci di giostrare con tanta nonchalance ed efficacia intorno a temi pure di grande qualità, mentre da noi spesso ci si aggrappa piuttosto rigidamente a composizioni spesso un po’ troppo ‘pensate’ e certamente molto meno duttili? La risposta è semplice, ahimè: Wilkins ed i suoi macinano serate e serate sui palchi, affinando sempre più l’intesa in formazioni stabili, che spesso sono nate sui banchi di scuola. Esattamente quello che viene negato a molte giovani band italiane, cui vengono consentite solo rare occasioni di confronto con il pubblico sui pochissimi palchi altrimenti ingombrati dall’ormai stucchevole presenzialismo di altri. Sta anche a noi del pubblico dargli delle occasioni, senza assecondare la pressione per caleidoscopici cambi d’organico di fatto pretesi dal nostro mercato della musica. Meditiamo gente… Milton56

Il quartetto (quasi, c’è Darryl Johns al basso) nel 2018, il brano è trattgo da ‘Omega’

3 Comments

  1. Consiglio di seguire il “nostro” Gabriel Marciano,23 anni,ed il suo quartetto.Immanuel è il suo idolo e quello di altri musicisti della sua età.Che crescono e cercano un proprio percorso con determinazione.Let them grow

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