For Butch & Dino. Pesanti come macigni, ma anche leggeri come un sorriso, i due nomi a cui era dedicato il concerto di Wayne Horvitz e Steph Richards al Centro di Ricerca Musicale di AngelicA il 19 marzo scorso. Pesanti e leggeri al pensiero dei tanti momenti condivisi con entrambi, e splendenti al pensiero della musica che ci hanno lasciato e delle porte che ci hanno aperto, con un “metodo” per comporre in tempo reale, dando struttura all’improvvisazione collettiva, che continua a lasciare il segno e a suscitare interesse in Italia come altrove, seguendo traiettorie inusitate all’intersezione tra generi e travalicandone i confini.
Stiamo parlando della Conduction, ideata e sviluppata dal compositore e direttore d’orchestra (già cornettista) Lawrence D. “Butch” Morris (1943-2013) nell’arco di una lunga carriera musicale, in cui ben presto l’avrebbe affiancato J.A. Deane “Dino” (1950-2021), trombonista e pioniere del live sampling – in questa veste, negli anni ’80, la collaborazione con Jon Hassel –, e che avrebbe poi seguito le orme di Morris come conductor, principalmente con il suo ensemble “Out of Context”, accanto a lavori come solista o con sodali come ad esempio Ava Mendoza, e l’impegno musicale per teatro e danza.
Scomparsi entrambi, ma entrambi ancora vivi nella memoria di chi li ha conosciuti e di chi ha suonato con loro e sotto la loro direzione, ed è questo il caso tanto di Wayne Horvitz – che conobbe Morris nel ’79 a New York, e che con lui collaborò a lungo, in trio con J.A. Deane, nel trio con William Parker e nel trio Horvitz-Morris-Previte, per poi partecipare ad alcune conduction – quanto di Steph Richards, trombettista e flicornista nelle sessioni tenute da Morris per diversi mesi nel 2011-2012 ogni lunedì al Lucky Cheng, Lower East Side New York, con la Lucky Cheng Orchestra; un’artista che poi, in parallelo alla presenza sulla scena jazz e di ricerca newyorchese (ad es. in Supersense, con Stomu Takeishi, Jason Moran e Kenny Wollesen, o nel duo Zephir con Joshua White) – avrebbe cominciato ad insegnare Conduction all’università della California a San Diego, con Dino ad offrirle anche la sua personale prospettiva.

E dunque, non è un caso che i due musicisti abbiano unito le forze per Vibrations to Infinity, un concerto che in origine era stato pensato, l’anno scorso, come omaggio di Dino e Steph al comune maestro, ma nel quale ora – feroce ironia della sorte –, lo stesso Dino si è trovato suo malgrado on the other side (uno ‘scherzo’ del destino di cui, da saggio praticante di QiGong quale era, avrebbe forse riso scanzonato, chissà), trasmutato da omaggiante a omaggiato. Un concerto in memoria di, ma che – assieme alla conduction di Horvitz con l’Orchestra Creativa dell’Emilia-Romagna al Jazz Club Ferrara la sera precedente – ha voluto essere anche uno sguardo verso il futuro di questa pratica di interazione collettiva basata su segni e gesti codificati; e non è un caso nemmeno che Horvitz e Richards si siano incontrati proprio ad AngelicA, la realtà che per prima aveva portato Morris in Italia come direttore nel 1993 (Conduction #32 e #33 “Eva Kant”), e dove l’ideatore della Conduction sarebbe ritornato nel 2006 (EMYOUESEYESEE.IT) e poi ancora nel 2009 per un ampio e articolato progetto (tra cui le Conduction #184 e #185 e “Folding Space: Modette & Other Songs” con la Filarmonica A. Toscanini), forte di un rapporto di grande stima e amicizia con il direttore artistico Massimo Simonini.

E allora, concerto per Butch & Dino sia: con grande tranquillità, senza fretta, accogliendo il misterioso della musica in divenire, ascoltandola e ascoltandosi, inizia una narrazione comune che si articola in più momenti, con Wayne a piano e processore del suono, e Steph a tromba e flicorno. Corpi dialoganti che seguono le suggestioni di una ripetizione e di una variazione, a domanda segue risposta – pertinente e inattesa al tempo stesso –, un duo di passanti che si incrociano e percorrono un tratto di strada assieme, ora paralleli, ora uno avanti, l’altro dietro e viceversa, animandosi più volte nella conversazione per poi prendere un ampio respiro e rimanere nello spazio sospeso…

Repeat, memory, develop, pedestrian, shadow, accompany me, sustain, piano, forte, fortissimo: chi conosce il lessico della Conduction li avrà sentiti, questi ed altri segni, manca il gesto fisico del direttore ma sono nell’aria, fluidi come l’acqua che Steph versa nel flicorno a gorgogliare allegramente – il rito che si rinnova a ogni primavera, come scriveva Morris nell’introduzione del confanetto “Testament: A Conduction Collection” del ’95, co-prodotto da Dino –, o come l’eco di voci lontane che Wayne passa dal suo computer… Sembra tutto così facile, concentrazione, combustione e propulsione, calore e trasmissione di energia da corpo a corpo, le guance arrossate, e la melodia ‘semplice’ di “Le cinqu doigts: lento” di Stravinsky, in cui ritrovare la stessa naturalezza che permea tanti dei temi di “Butch” Morris, finchè il suono se ne va, in attesa di essere riconosciuto da qualcun altro…

Le foto sono di Massimo Golfieri, eccetto la foto di Dino e Butch Morris
https://www.musicajazz.it/butch-morris-ricordato-da-horvitz/
https://www.youtube.com/watch?v=Ykkp3F2bjRQ&t=13s