Come sanno gli ‘ammiratori’, non sono uomo da telegrammi io, quelli si pagano a parola… E poi sono di quelli che rimuginano le proprie esperienze al di là delle servitù dell’attualità.
E questo soprattutto quando l’esperienza è stata coinvolgente come questa. Maria Pia De Vito si è presa una bella rivincita su due anni difficili ed amari mettendo in campo un’edizione di Bergamo Jazz decisamente notevole e stimolante. E non solo per il rilievo dei musicisti presenti, quanto per un’attenta impaginazione che è riuscita a fornire un colpo d’occhio molto penetrante sulla scena odierna, facendo emergere con evidenza dialettica delle tendenze di fondo. Questo è particolarmente vero per il pianoforte: c’è stata infatti fornita la rara occasione di mettere a confronto a brevissima distanza due degli esponenti di punta non solo del loro strumento, ma anche della musica afroamericana più in generale.

A questo proposito cercherò di seguire anch’io questa impostazione speculare dedicando due separate cronache a Vijay Iyer ed a Brad Meldhau, tentando però lo stesso confronto a distanza molto ben riuscito a Bergamo. In cartellone figurava anche il trio di Fred Hersh, ma si tratta di musicista molto personale che stenterei a vedere come un alfiere di tendenza, per tacere del fatto che divideva il palco con una figura di grande statura ed affinità elettiva come Enrico Rava, fattore che scombinava in partenza qualsiasi confronto in ambito puramente pianistico.
Nelle tradizioni di questo blog noterete opinioni alquanto diverse da quelle ‘telegrafiche’ del collega Rob 53: si sa, noi abbiamo un debole per la polifonia… e poi il dibattito ‘fa audience’ 😉 .

Ma non è stato solo un duello di pianisti quello che ha animato le serate di Bergamo. È stato interessante notare anche la presenza di ben due gruppi guidati e plasmati da batteristi. Mentre la formazione di Roberto Gatto è una realtà da tempo consolidata (ma meritevole di maggiore attenzione), la band di Jeff Ballard ha rappresentato una piacevole ed inaspettata sorpresa. Dopo il momento dei bassisti leader, è venuto quello dei batteristi. Ed è un gran momento, a giudicare dalla freschezza e dall’eleganza dei risultati. Senza tralasciare il fatto che entrambi i leader con le bacchette hanno dimostrato notevole intuito di talent scout mettendo in evidenza sia giovani talenti che musicisti già affermati, ma bisognosi di un più stabile e definito inquadramento di gruppo.

Non sono mancate nemmeno aperture ben mirate su esperienze più radicali e di confine, come testimoniano gli spazi riservati al duo Mitelli/Mazurek e soprattutto quello per Ava Mendoza, scelta tutt’altro che scontata, ma alquanto intrigante ed in anticipo su una futura probabile affermazione dell’interessantissima chitarrista su un palcoscenico mondiale.

Tra queste ventate di aria nuova mi spiace profondamente di avere mancato ancora una volta l’appuntamento con i Dolphians di Federico Calcagno. Ma questi sono inconvenienti inevitabili in un Festival che ha fatto registrare sistematici sold out ed addirittura liste di attesa anche per proposte certamente non facili come quella della Mendoza (en passant, noi avevamo parlato di lei sin dal 2019… scusino l’autopromozione 🙂 ).
Volendo proprio cercare il pelo nell’uovo, qualche piccolo rimpianto fa appena capolino.
Il primo è l’ assenza della sezione cinematografica dalla quale in anni trascorsi sono venute proposte molto preziose, anche per la pressoché totale impossibilità di vedere film e documentari di argomento jazzistico sia nel circuito cinematografico ordinario che sulle piattaforme on demand, concentrate sulla serialità in grado di vincolare il pubblico. Con un illustre vicino di casa come il Bergamo Film Festival a mio parere sarebbe possibile ripristinare una collaborazione di reciproco beneficio. Senza contare che il vivace filone della cinematografia jazzistica potrebbe risultare un attraente strumento didattico di approfondimento anche per il bel pubblico formato ed attento di Bergamo.
Ultimo piccolo desiderio sarebbe quello di vedere una maggiore espansione del festival sia sul piano dei tempi che dei luoghi (alcuni dei quali li vedete in fotografia in questa pagina). Non mancano in città location anche private che ben si presterebbero a presentare compatte formazioni giovani, avvicinandole tra l’altro al loro pubblico di elezione. Quanto ai tempi maggiori, non dovrebbe esser difficile ottenerli da una comunità così coinvolta da farti viaggiare gratis su bus e funicolari cittadine dietro presentazione dei biglietti dei concerti (facilitazione non di poco conto).
Fine trailer. Stay tuned, seguono le mie ‘letterine’. Alquanto dissonanti 😉 . Milton56
Il “segreto” del successo del festival è nella sua sdoppiatura: la sera nella cornice maestosa del teatro Donizetti i nomi più famosi e più “digeribili” per un grande pubblico. Di giorno nelle diverse locations proposte più intriganti per appassionati più esigenti. Semplice e funzionale. Rimane da trovare una sistemazione migliore ai concerti dei giovani musicisti italiani. Se si programmano alle 19, stretti tra il concerto delle 17 e quello delle 21, l’appassionato deve scegliere se cenare o ascoltare musica. Forse sarebbe meglio alla mattina o nel primo pomeriggio. Importante che la qualità delle scelte rimanga sempre alta . Poi naturalmente ci può stare che un nome sulla carta importante si riveli deludente, così come una “scommessa” si riveli vincente. Buon lavoro a Valentino e De Vito
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Sono d’accordo.Bergamo è rimasto uno dei pochissimi (forse l’unico) festival con una base consolidata di pubblico che abbia la capacità e volontà di fare nuove proposte. Lo ha già fatto, deve solo trovare il modo di dargli più evidenza ed accessibilità. Milton56
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