LOUIS HAYES – Crisis (Savant / Ird) – Supporti disponibili: CD
Da Dexter Gordon ad Horace Silver, da Cannonball Adderley a Coltrane, da Woody Shaw a McCoy Tyner, da Joe Henderson ad Oscar Peterson, solo a sbirciare la carriera di Louis Hayes viene la vertigine. Quanto sia profondo il segno che questo batterista ha lasciato nella storia della musica afroamericana è testimoniato non solo da tutte quelle folgoranti collaborazioni che riempiono i nostri scaffali ma anche da una quindicina di dischi da leader, molto meno conosciuti, in cui le sue idee sono fluite sempre con grande chiarezza. In tal senso “spoileriamo” un brano da un dimenticato SteepleChase del ’91 (di non facile reperibilità) ed un’altra clip della Smoke Sessions di nove anni fa che invece ha molte attinenze con il lavoro che abbiamo nel lettore in questi giorni, visto che la line-up dei musicisti è quasi la stessa, come del resto il sound che ritroviamo oggi.
Si tratta quindi di “Crisis”, titolo che segna il ritorno in casa Savant di questo incredibile batterista classe ’37, nativo di Detroit, che di crisi in più di sessant’anni di onusta carriera ne ha viste passare molte e di ogni tipo, sotto il segno del suo ricercato drumming che in questo caso sublima la crisi dettata dalla pandemia mondiale nell’omonimo brano di Freddie Hubbard (lo trovate qui, nel Blue Note “Ready for Freddie” con Wayne Shorter), un jazzman che a fine anni ’50, giusto per dirne una, era coinquilino di Louis Hayes in un appartamento a Brooklyn, e si fa presto a pensare ad un bop-paradise bohémien sull’East River…
Tornando al presente, pare pleonastico aggiungere che di crisi ne abbiamo a bizzeffe, ma a voler essere ottimisti si può pensare che con jazz di questo livello si può in qualche modo lenire l’ansia di ogni giorno. Con fuoriclasse come il pianista Dave Hazeltine o il vibrafonista Steve Nelson è come viaggiare in limousine e non c’è bisogno di fornire molte coordinate, idem per il fido concittadino bassista Dezron Douglas, o del sax tenore cinquantenne Abraham Burton, tutta gente dalla spiccata personalità che rende naturale e semplice ogni passaggio, esplosivo e coerente ogni assolo, come nella ballad griffata Steve Nelson “Alien Visitation”, uno degli zenith di un disco che ricerca (trovandole) soluzioni melodiche di prim’ordine in ogni brano.
In due pezzi, a variare il climax e l’impianto generale di “Crisis”, troviamo la voce di Camille Thurman, giovane stella della Jazz At Lincoln Center Orchestra, ed anche ottima sassofonista, che si prende lo spotlight con un’intensa “I’m Afraid The Masquerade Is Over” e con una veloce e divertita “Where Are You?”, brano bazzicato tra gli altri in celebri versioni da Rollins e Gordon. In questo brillante episodio Camille Thurman, contrappuntata da vibrafono e sax, utilizza lo scat con misura e classe, riproponendo un testo che ha mantenuto intatta la sua potenza lirica (“Per tutta la vita devo continuare a fingere? E dov’è quel lieto fine? Dove sei tu?”).
In definitiva “Crisis” potrebbe essere stato inciso dieci o quarant’anni fa, cambierebbe poco, lo testimonia anche la versione di “It’s Only A Paper Moon” posta a chiusura del disco, una divertita rampa di lancio per gli assoli di tutta la band, con il leader batterista 84enne che miracolosamente non perde un briciolo di drive per strada e sigilla il disco all’insegna di un positive thinkin’ che, dopo tanti complessi arzigogoli e frustrazioni mentali update afflitte senza grazia anche in ambito musicale, accogliamo come una goduriosa ventata d’aria fresca, di quelle che aiutano a svegliarsi.
