Michael Gregory Jackson – Electric git box

Le mie chitarre, che fin da ragazzo ho chiamato “git boxes”, sono sempre state le mie compagne ed il mio rifugio, veicoli per tirarmi fuori dall’angoscia dei miei anni di gioventù così come accade oggi.Attraverso le chitarre ho scoperto la disciplina, l’auto coscienza e l’ispirazione, loro mi hanno condotto in un percorso profondo fino al blues che è dentro me. Questo progetto è nato in un periodo molto difficile, mi sentivo invaso dalle tragedie, la pandemia ed i lockdown, gli episodi di violenza della polizia contro la gente di colore, il vivere in una realtà caratterizzata da un razzismo onnipresente. Mi sentivo arrabbiato, confuso e senza direzione: così ho registrato questa musica con alcuni angoli, distorsioni, per comunicare la multiforme fonte di emozioni che hanno dato vita a questa performance”.

Undici pezzi di sola chitarra elettrica, eseguiti su una Gibson SG del 1959 ed una Fender Stratocaster amplificate da un Polytone e catturate da microfoni vintage, compongono “Electric git box” (Golden records) il primo lavoro in solitaria di Michael Gregory Jackson, pubblicato esclusivamente in digitale e disponibile sulla pagina bandcamp dell’artista. Jackson è tornato da qualche anno in attività, in continuità con una carriera partita negli anni settanta a contatto con i maggiori esponenti dell’avanguardia, (oltre ad Oliver Lake nel cui gruppo entrò ancora adolescente, in seguito Anthony Braxton, Julius Hemphill, e David Murray) , e divenuta, nel tempo, fonte di ispirazione e guida per molti chitarristi più giovani e conosciuti, da Bill Frisell a Vernon Reid, da Pat Metheny a Nels Cline.

Le dichiarazioni iniziali e ed il materiale dell’album fanno intuire come si tratti di una delle opere più personali per il chitarrista, che recupera qui alcune pagine del suo passato, affiancandole a nuove composizioni studiate per la veste solista. Che si applichi ad un blues (“Sweet rain blues“) , ad un frenetico omaggio ad Ornette (“Jcak jcack“), ad una dedica emozionante a Geri Allen (“Theme X” già presentata su “WHENUFINDITUWILLKNOW”, il suo disco del 2019 con il Clarity Quartet ), o a veri e propri inni per la libertà contro ogni discriminazione razziale (la scarna “Hymn for my people“, e “Perseverance“) il tocco sulle corde di Jackson è sempre dolce e leggero, privo di eccessi nonostante la materia “elettrica”, e rivolto a preservare la struttura armonica delle composizioni. Altri esempi della capacità di “mantenere la rotta” all’interno di composizioni complesse sono l’ iniziale “Karen“, la ballad “Meditation in E (for Karen)” e la conclusiva “The science of beauty“, nelle quali il chitarrista riesce a coprire tutte le parti, alternando, con notevole controllo, sezione ritmica e solista come fosse una band al completo. C’è, inoltre, un pezzo dal titolo curioso “Preleuoionti“, che rappresenta, come detto, il legame con il passato più lontano di Michel Gregory Jackson: compariva in veste acustica nel suo primo album solista inciso a soli 23 anni “Clarity, Circle, Triangle, Square” . Quarantacinque anni dopo, in chiave elettrica, resta un grande esercizio di virtuosismo capace di emozionare, due materie nelle quali MGJ si conferma vero maestro.

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