(Roberto Gatto in un bello scatto di Fabio Gamba)
Bergamo Jazz, come altri festival, adotta la formula del doppio concerto nella stessa serata per sfruttare al massimo tempi compressi, saturandoli con l’offerta più differenziata possibile. Da una parte ciò fa la fortuna dell’ascoltatore (godersi per 20 euro nella stessa sera il trio di Vijay Iyer e di seguito il quartetto di Roberto Gatto, oppure Fred Hersh trio + Rava abbinati al quartetto di Jeff Ballard è cosa che farebbe strabuzzare gli occhi ai nostri colleghi jazzofili d’oltreoceano), ma non c’è rosa senza spine…. Fortunatamente a Bergamo in queste serate ‘binate’ erano di scena gruppi acustici, il che ha consentito fulminei cambi di palco senza i considerevoli rischi implicati dalla rapida entrata in scena di band con pesanti e complesse dotazioni di elettroniche. Ma resta il fatto che chi sale sul palco per secondo parte oggettivamente con un handicap di non poco conto.
Soprattutto se ti tocca farlo dopo il set travolgente di Iyer, come è successo a Roberto Gatto ed al suo quartetto. Che meritano almeno su queste colonne un minimo risarcimento per i tempi compressi a loro rimasti e per qualche defezione in platea; mi dispiace per i defezionanti, spero fossero giustificati dalla prospettiva di una levataccia nell’indomani lavorativo, ma si sono comunque persi qualcosa.
Anche perché intorno al veterano della batteria (uno cresciuto nell’era ormai mitologica del primo corso di jazz tenuto da Gaslini a Roma e della Scuola Popolare di Musica del Testaccio) era radunata una pattuglia di veri talenti della new wave jazzistica italiana: Alessandro Presti alla tromba (ormai di casa a New York, ragione di più per non farselo scappare), Alessandro Lanzoni al piano (a mio avviso il più jazzman di tutti i nostri giovani pianisti insieme a Enrico Zanisi) e Matteo Bortone al basso.
Se da una parte con questa formazione Gatto raccoglie il testimone di talent scout dalle mani di D’Andrea e di Rava (non so perché, ma sotto il profilo del dialogo intergenerazionale vedo molti punti di contatto tra il quartetto di Gatto e quello splendido del Cav.Enrico….), dall’altra i giovani partner, pur avendo alle spalle cospicue esperienze da leader, dimostrano l’umiltà di sapersi rimettere in gioco come sidemen, sia pure di gran lusso, dando prova di volersi perfezionare ‘alla scuola del palco’ sulla quale è cresciuto Gatto, che ora vi sale da maestro. Chapeau, prova di stile più unica che rara alle nostre latitudini.
Com’è logico, il gruppo prende il ‘la’ dal beat leggero ed arioso di Gatto, ma subito dopo si nota il tono lirico e già fortemente personale di Presti, che ha messo a punto uno stile in cui spiccano i tempi medi ed una emissione morbida e sfumata. Non mancano momenti di maggiore scatto e dinamismo, che non conducono mai però ad exploit puramente virtuosistici, l’espressione rimane sempre al centro. Pressoché perfetto il blend con un Lanzoni dallo stile ampio, nitido e con vaste aperture, che si alternano ad intensi momenti di raffinata invenzione. Aggiungiamoci il basso morbido ed elastico di Bortone, ed abbiamo una band ben coesa e di elegante personalità, che spicca per una caratteristica luminosa ed aperta. E soprattutto capace di un lirismo asciutto, lontano dal dolciastro languore di certo nostro ‘jazz mediterraneo’ così come dal monocromatismo boreale in lista di attesa per un viaggio a Monaco di Baviera. Tra l’altro, sul palco di Bergamo il gruppo mi è sembrato in notevole crescita rispetto alla prova discografica di ‘My Secret Place’, probabilmente molto influenzata dal pieno clima pandemico e da cui è stato attinto gran parte del bel repertorio del concerto.
Che dire di Jeff Ballard? Mi limito a sfogliare il mio personale album dei ricordi per rivederlo al fianco di Wayne Shorter in un rovente pomeriggio di oltre 10 anni fa al Teatro Morlacchi di Perugia, e poi varie volte in dialogo con Mehldau, l’ultima in una indimenticabile serata dell’estate scorsa all’Arena S.Giuliana di Perugia. E come biglietto da visita mi sembra che basti ed avanzi. Un altro classico esempio di batterista-musicista, anche lui uno ‘di polso’, come piacciono a me.

Ballard, meno diplomatico di Gatto, ha rispolverato il suo simpatico italiano prima scoccando un’amabile frecciatina al ‘fratello di batteria’ Joey Baron che lo aveva preceduto con il trio di Fred Hersh, e poi per assicurarci che, a parte qualche ora di prove, non aveva mai suonato con gli altri ‘fratelli di musica’ con cui divideva il palco. E cioè Logan Richardson al sax alto, Charles Altura alla chitarra elettrica e Joe Sanders al basso. Ora si sa, noi jazzofili siamo traviati dalle cattive letture, e quindi amiamo credere ai miracoli delle affinità elettive, nei quali rientra a pieno titolo la performance del quartetto che Ballard ha evocato dalle quinte del Donizetti.
Anche qui infatti un gruppo di grande omogeneità e dal suono molto caratteristico: pure qui una frontline in cui si amalgamano felicemente il sax alto lirico, notturno e dal fraseggio agile e guizzante di Richardson, e la chitarra ‘liquida’ (copyright Rob53….) di Altura, finalmente un chitarrista concentrato sul fraseggio e sulla sua articolazione in ampii archi melodici, anziché sull’ossessiva manipolazione di timbri. Se Altura è stata per me una sorpresa, mi ha fatto piacere vedere Richardson finalmente inserito in una collocazione felice, dopo alcuni momenti opachi seguiti ad un debutto da leader forse troppo precoce. La componente di dinamismo era apportata del basso di Sanders e soprattutto dal drumming fremente ed incalzante del leader, che si è concesso un paio di spazi solistici in cui ha impressionato con delle affascinanti figurazioni circolari sfociate in una inesorabile progressione che echeggiava alla lontana il ‘Bolero’ di Ravel. Molto azzeccata la scelta di un repertorio alquanto variato, in cui spiccavano un bel Booker Ervin notturno ed un Ornette Coleman d’annata, affrontato con molto brio e souplesse. Ahimè qui manca (per ora?) una pietra di paragone discografica, per cui vi dovrete contentare di questa clip artigianale, che però ha il pregio di ritrarre la band a pochi giorni di distanza e quasi con l’identica formazione del Donizetti. Come per quella di Gatto, anche questa necessita di un doveroso appunto in agenda. Milton56