Il pensiero dominante

Oggi su Facebook la pagina di Umbria Jazz ha pubblicato il programma completo dell’Arena Santa Giuliana, lo stesso che vedete nella foto di copertina. Dopo aver dato attenta lettura, ho pubblicato il programma su Fcbk limitandomi ad un commento sconsolato: “Un programma oggettivamente deludente per non dire scarso. Forse al Morlacchi ci sarà qualche jazzista, oramai a Perugia il jazz più che supportato sembra sopportato……”

Davo per scontato che coloro che leggevano conoscessero la posizione di Tracce di Jazz sul festival umbro, insomma che fossero anche lettori del blog. Ovviamente non è cosi’, e ho raccolto qualche commento di dissenso, anche piccato. Ho quindi provveduto ad una breve e coincisa motivazione:

“Ovviamente il commento “deludente e scarso” non si riferisce alla qualità dei singoli musicisti ma al rapporto tra budget (ricordate che UJ percepisce un milione l’anno dal bilancio dello stato) e proposta artistica. Non si discute la bontà dei nomi ma il loro rapporto con quello che dovrebbe essere un festival jazz. All’Arena Santa Giuliana il jazz è in netta minoranza. Dato incontrovertibile. Oltretutto con nomi, per quanto grandi, che un medio appassionato ha visto molte e molte volte nella stessa Perugia. Nessuna ricerca del nuovo, o perlomeno del meno conosciuto. L’unica ricerca che mi pare evidente è quella del profitto. E, come diceva Leonard Feather, “gli affari sono affari, il jazz è arte, e raramente le due cose si incontrano.” A Perugia non si incontrano da troppo tempo. Naturalmente è solo il mio parere, quello di un appassionato che a UJ ha pssato molte estati.”

Credo che non affronterò più l’argomento, chi ha passato gli “anta” non ha certo bisogno che gli illumini la vcenda, e , per quanto riguarda i ragazzi, debbono scegliere e magari sbagliare ma con la propria testa. Posso solo aggiungere, a completamento della mia risposta, che Umbria Jazz è finanziata da molti sponsor privati, che magari possono premere per un cartellone più pop per evidenti motivi economici, sta poi al direttore artistico valutarne la fattibilità e alla critica la credibilità. Direi che da almeno un ventennio a Perugia è passato di tutto e di peggio, rock star, cantautori, cantanti da X Factor, tutti più o meno accomunati da un comune fattore: essere abbondantemente sul viale del tramonto. E la critica ? Zitti e mosca, per almeno un paio di buoni motivi: incompetenza sull’argomento (tivù e quotidiani) e salvaguardia di preziose pagine pubblicitarie generosamente pagate da UJ.

Il pubblico ovviamente accorre numeroso, sappiamo bene che il livello medio di conoscenza in campo musicale raramente supera il fattore Maneskin, gli sponsor, tra cui non meno importante, quello politico, sono gaudenti e chi non si allinea al pensiero dominante, sembra incredibile ma in qualche nicchia dell’etere c’è ancora qualche talebano, viene immancabilmente tacciato di “purismo”.

Ricordo allora che oltre ai soldi degli sponsor privati da qualche anno Umbria Jazz gode di un contributo annuo di un milione di euro. Soldi anche nostri, che semplicemente vorremmo fossero spesi meglio, magari seguendo alla lettera quella parolina che campeggia sui poster subito dopo Umbria. E non ci basta che al Morlacchi a ore da licantropi e a temperature sahariane ci siano una manciata di concerti finalmente degni di tal nome e della storia del festival. Ma sono ragionamenti che personalmente porto avanti da quando ho iniziato a scrivere, ormai quasi vent’anni fa. e ora mi sono stancato. Per me Umbria Jazz non è più un festival propositivo e creativo, per cui non ne parlerò mai più. D’altronde sono anni che non lo frequento , cerco quello che amo in festival più piccoli, con meno mezzi e senza le luci dei riflettori dei media ma con tanta passione e bellezza.

1 Comment

  1. Condivido pienamente quanto ampiamente riportato nell’articolo, Umbria Jazz non rappresenta più l’anima Jazz in Italia ma è diventata solo un falsa immagine. Da più anni sbandieravo nella mia pagina fb la sua falsa immagine, non mi rappresenta più anche per la sua politica sociale. Qualche anno fa il festival si chiamò “Umbria Social Jazz” ma nel vedere il prezzario dei concerti promossi mi accorsi dell’inaccessibilita’ dei giovani di partecipare agli eventi per l’elevato costo dei biglietti nonostante, già d’allora, piovevano ingenti contributi pubblici. Era quindi un Asocial Umbria Jazz. Per non parlare poi degli artisti, sempre gli stessi e mancanza di attenzione ai giovani musicisti di casa nostra e d’oltre oceano.
    Avrei tante altre cose da aggiungere ma, mi fermo qui, aggiungendo solo che una piccola parte di quel milione potrebbe essere destinata ai Jazz Club che producono Jazz non per dieci giorni l’anno ma da settembre/ottobre fino ad aprile/maggio di ogni anno.
    Ma si sa, l’acqua la si porta sempre al mulino vecchio.

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