Il 14 giugno di quattordici anni fa scompariva in un tragico incidente subacqueo Esbjorn Svensson, pianista e leader del trio EST, certamente una delle figure europee più interessanti degli ultimi anni.
La sua morte ci ha privati di un pianista sensibile, raffinato e profondo. Ho avuto modo di ascoltarlo molte volte in concerto ed ogni volta il suo feeling, la capacità introspettiva, la raffinatezza del tocco, mi hanno lasciato ammirato e partecipe.Ricordo in particolare i concerti dei festival jazz di Clusone e di Bologna . A Bologna il trio EST suonava nella stessa serata del trio di Brad Mehldau, ed il confronto, ammesso che sia possibile , è stato oltremodo stimolante.
La svolta elettronica degli ultimi tempi mi lasciava qualche perplessità, ma dal vivo , nonostante l’uso sempre più invasivo dei computer, ancora prevaleva quella atmosfera intensa e ricca di groove che ha caratterizzato il trio fin dagli esordi. L’album doppio uscito quattro anni fa, dal vivo a Londra nel 2005, fotografa il trio nella forma più smagliante e ricco di lucidità progettuale. Un vero documento testamentale, con i tre musicisti al meglio di ispirazione e concentrazione.
Nel profondo e cantabile contrabbasso di Dan Berglund pare di sentire lo stesso respiro dello strumento suonato da Charlie Haden. La propulsione ritmica di Magnus Ostrom è di una originalità che in Europa ha pochi eguali. E poi c’è Esbjorn, che tesse e cuce trame di bellezza introspettiva difficilmente ascoltabili nel vecchio continente.
Il trio è riuscito mirabilmente a fondere ispirazioni di natura diversa: il jazz naturalmente, ma c’è anche una prepotente impronta classica ed una ritmica che strizza più volte l’occhio al rock progressive. La fusione è cosi’ originale che non ha avuto imitatori ed è scomparsa insieme a Svensson
Nel panorama europeo contemporaneo la figura di Svensson ha lasciato un vuoto non ancora colmato e probabilmente la sua figura ancora non ha avuto la giusta collocazione ne l’adeguato riconoscimento nella storia del piano trio. Una breve biografia a cura di Enrico Finocchiaro:

Nato nel 1964 a Västerås (Svezia) da una pianista classica e un appassionato di jazz, Esbjörn da bambino vuole fare il batterista rock. I genitori, però, non lo assecondano e, poiché in casa ha solo un pianoforte, si vede costretto a cambiare ambizioni. Comincia così lo studio del piano, prima classico e poi jazz; poco dopo aver raggiunto la maggiore età completa la sua formazione alla Kungliga Musikhögskolan di Stockholm, tra le più importanti scuole di musica in Svezia. Fin da giovanissimo ha come compagno nelle sue avventure musicali l’amico Magnus Öström, batterista: è proprio con lui che, dopo l’incontro con il contrabbassista Dan Berglund, nel 1993 nascerà l’Esbjörn Svensson Trio (spesso abbreviato E.S.T.), che debutta nello stesso anno con When Everyone Has Gone. La prima parte della carriera dell’E.S.T. è caratterizzata dall’acquisizione di sempre maggiore fama presso il pubblico svedese e scandinavo: gli album di questo periodo (tra i quali segnalo in particolare E.S.T. Plays Monk, dove il trio si diverte a rivisitare 10 brani classici del grande Thelonious) contribuiscono a rendere l’E.S.T. un punto di riferimento per il jazz nordico, tanto che sia nel 1995 che nel 1996 Svensson viene nominato miglior jazzista svedese dell’anno.Ma è con il passaggio all’etichetta tedesca ACT, nel 1999, che il trio compie un salto di qualità, sia in termini di pubblico che in termini di stile: ACT nell’ultima decina di anni è riuscita a ritagliarsi un ruolo di tutto rispetto per quanto riguarda il jazz europeo (meno austera e più giovanile della prestigiosa connazionale ECM), in particolare scandinavo, sia con il lancio di nuovi talenti che con l’acquisizione sotto il proprio marchio di artisti affermati. L’E.S.T. fa parte di questi, e i primi album sotto la nuova label, From Gagarin’s Point of View (1999) e, soprattutto, Good Morning Susie Soho (2000) sono quelli della maturazione dello stile del terzetto, riassumibile nella definizione degli stessi componenti: “un gruppo pop che suona jazz”. Sono anche i primi dischi a ricevere ampia distribuzione in tutta Europa, e a sbarcare (con successo) negli States. Da qui il trio affronta una carriera in ascesa, con costante crescita di popolarità e favore della critica: passando per il bel Viaticum, si culmina nel bellissimo Live in Hamburg, ultimo lavoro del trio pubblicato con Svensson ancora in vita. Poco dopo la morte, uscirà Leucocyte, un album che, ultimato poche settimane prima dell’incidente, diventa l’involontario testamento musicale di un artista nel pieno della sua vena creativa, e che lascia intravedere quale fosse la direzione intrapresa, con particolare riguardo alla grande consapevolezza acquisita in fase di composizione.
Nonostante la scomparsa anzitempo di Svensson ci abbia privato di un artista che certamente aveva ancora molto da dire, con un grande potenziale per una ulteriore maturazione professionale, l’E.S.T. ha lasciato un segno profondo nella storia del jazz contemporaneo, e molte fonti di ispirazione per le generazioni future.
Grazie per averli ricordati!
Una band dalla visione unica
La morte di Svensson ha chiuso la carriera di questo artista e del suo trio.
Irripetibili!
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Suggerirei di tener bene d’occhio le nuove uscite dell’etichetta tedesca ACT (ottima). Non è escluso che dai loro archivi esca qualche altra registrazione live dell’EST, dello stesso gran livello di quelle pubblicate negli ultimi anni. Milton56
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