Joni Mitchell e Mingus: un finale in bellezza
Il centenario della nascita di Charles Mingus è stato relativamente graziato dall’oscuramento proiettato su altri precedenti dalla pandemia e dal sostanziale coprifuoco indotto dalla stessa sulla scena musicale. Che il carattere saturnino ed irascibile del grande bassista gli abbia fatto da scudo contro le avversità persino post mortem?
Amenità a parte, abbiamo assistito a qualche riedizione discografica di pregio ed anche a molti omaggi rivolti dalle più varie formazioni alla sua musica. A questo proposito va detto che purtroppo le angustie dell’attuale scena musicale non hanno consentito di ascoltare le più notevoli pagine mingusiane nella loro dimensione più propria, e cioè quella orchestrale.
Eh sì, perché già dagli albori della sua carriera il sulfureo Charles si è sempre concepito innanzitutto come compositore, per di più con ambizioni che inizialmente travalicavano il campo del jazz propriamente detto, come testimoniano molte delle sue registrazioni per piccoli gruppi degli anni ’50 (in cui tra l’altro si ascoltano personaggi dalla collocazione borderline come John La Porta e Teo Macero, futura eminenza grigia di Miles Davis).
Inevitabile quindi che un autore che talvolta ha sfiorato la dimensione sinfonica incontrasse prima o poi sulla sua strada lo strumento originario, cioè la voce umana. Va però notato che nella lunga ed articolata discografia mingusiana non vi sono molte testimonianze di vasta notorietà relative a questo interesse. E tra l’altro vanno rintracciate in registrazioni di non facile reperibilità.

Quindi merita senz’altro una segnalazione il volume ‘Le Voci di MIngus’, pubblicato da Claudia Aliotta presso EBS Print (dati bibliografici qui ): tra l’altro si tratta di uno dei pochissimi testi in italiano dedicati all’uomo di Nogales di uscita recente, mentre rimangono da ripubblicare monografie di presentazione generale della sua figura uscite anni fa a firma di altri autori italiani.
L’autrice vanta competenza particolare sulla materia affrontata: non solo svolge attività di insegnamento in alcuni istituti di formazione musicale dell’Umbria, ma è altresì da tempo attiva come vocalist, come testimonia questo video che la vede proprio alle prese con ‘Eclipse’, song che se non sbaglio fece la sua prima apparizione sull’affascinante ‘Pre-Bird’, album affollato di talenti ed in cui ancora nel 1960 riaffiora un’inclinazione di Mingus per la c.d. ‘Third Stream Music’ , che meriterebbe una serena rivisitazione anche alla luce di quel che è seguito in anni più vicini a noi
Ma in Mingus non c’è solo la voce nella dimensione del canto, ma anche in quella del recitativo: sono note – ma anche qui di non facile documentazione – le sue frequentazioni con il mondo del ‘jazz and poetry’ degli anni ’50, cui contribuì anche con propri testi.
Last but not least, anche nelle sue pagine emeinentemente strumentali spesso fa capolino la voce, ma è quella dell’invettiva: celebre l’esempio di ‘Fables of Faubus’, che gli costò un intervento censorio della Columbia, gotha discografico americano in cui era da poco approdato.
E la temperie espressiva mingusiana giunge spesso ad approdare al grido vero e proprio, in modo molto meno gratuito di quanto non è avvenuto in seguito. Una dimostrazione ci viene da questa arroventata chiesa affollata di cristiani, di quelli che non offrono l’altra guancia però…..
E sotto questo profilo, questa attrazione del maestro per la voce è stata contagiosa anche per uno dei suoi apostoli più fedeli, George Adams, che con Don Pullen continuerà per anni a diffondere il suo verbo :
Molte quindi le buone ragioni per tufffarsi nel lavoro di Aliotta. Vi lascio con un ‘Eclipse’ par lui mème, questa volta dal vivo alla Philarmonic Hall nel 1972, con una big band d’eccezione. Milton56
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