La seconda settimana di Gezmataz 2022 si è aperta con il concerto della violinista Anais Drago all’interno della millenaria Chiesa dei Santi Cosma e Damiano, nel cuore del centro storico genovese. Un set solitario nel quale la giovane musicista ha concentrato alcune delle fonti della propria multiforme ispirazione musicale. Avviato con due brani totalmente improvvisati, sull’onda della recente esperienza di Umbria Jazz, il concerto è stato dedicato in buona parte al repertorio dell’album “Solitudo“, pubblicato da Cam jazz nel corso del 2022, che ha suscitato un ampio interesse nei mesi scorsi. Un lavoro dedicato all’esplorazione del concetto di solitudine, inclusi origine ed effetti, che è aperto dall’esplorazione della dimensione più spirituale dello stato, con il trittico “Gnossienne”, “Passio” ed “Oblivio”, riproposte dal vivo con le arcate del luogo sacro riempite dalle intense esplorazioni timbriche del violino acustico. Quindi la musica ha assunto tratti ritmici più marcati, con l’entrata in scena della loop station, del set di effetti elettronici attraverso i quali Anais diventa il direttore di un’orchestra virtuale, sdopppianosi, improvvisando sulle cellule melodiche suonate in tempo reale e conducendo il proprio strumento, anche in versione elettrica, sulle rotte contemporanea segnate dai beats elettronici.

Le influenze letterarie sono un’altra fonte di creatività della musicista: dal romanzo di Friederich Durrenmatt proviene l’ispirazione per “Minotauros“, mentre dalle “Cosmicomiche” di Italo Calvino la piccola suite di frammenti suonati e recitati con buona verve, a partire da “Tutto in un punto“. Un universo composito, insomma, quello di Anais Drago che si completa con il bis dedicato a Bach in acustica, testimone delle frequentazioni classiche della violinista.
“Quasi non prosaic” è una denominazione molto originale ed assai difficile da memorizzare. Si tratta della formazione allestita dal bassista Giacomo Merega, genovese trapiantato negli Stati Uniti dove ha sviluppato gran parte del proprio percorso in ambito avanguardistico suonando, tra gli altri, con Joe Morris, Kip Hanrahan e Noha Kaplan, in una inedita formazione che insieme al batterista belga Samuel Ber, vede schierato il chitarrista Francesco Diodati in luogo di Federico Casagrande. Musica che si sviluppa attraverso ampi cerchi asimmetrici, con gli strumenti impegnati a definire le coordinate spaziali e temporali indipendentemente da strutture convenzionali. Anche quando il ritmo ha un sussulto, come nell’ultimo brano, si resta nell’ambito della libertà totale, con la chitarra di Diodati che sporadicamente emerge dal contesto per lasciare veloci ed infuocati segnali.

Di tutt’altro tenore la proposta di Jeff Ballard e del suo gruppo/laboratorio Fairgrounds qui all’esordio di una nuova configurazione, con il chitarrista ceco David Doruzka ed Joris Roelofs, da Amsterdam, al clarinetto basso. Se la musica del set precedente risultava assorta in un estenuato percorso di ricerca, qui l’espressività e la dinamica hanno giocato un ruolo dominante.

Ballard conduce la band riempiendo con la propria batteria il panorama sonoro, trasformando le proprie bacchette in quella di un immaginario direttore d’orchestra che “manda avanti” la musica con entusiasmo ed inarrestabile forza ritmica. La scaletta aperta dalle belle intuizioni melodiche di “Rope dancer” del clarinettista olandese è proseguita con scelte di grande spessore jazzistico: “Nutty” di Monk, nel corso della quale il leader si è scatenato in un vorticoso ed appassionante solo, “Yellow Violet” di Andrew Hill, e “Gazzelloni” di Eric Dolphy, artista al quale Roelofs sembra sinceramente ispirarsi. Quindi un’ intensa ballad originale del chitarrista, “For ever lost“, molto apprezzata dal pubblico, e la frizzante “Happy weather” di Ballard, occasione per ulteriori spazi alla sua versatile espressività. Nonostante il clima da debutto e la recente costituzione del trio, un concerto che ha trasmesso entusiasmo e divertimento. Ed ha mandato tutti a casa contenti con in testa il motivo di “Monk’s dream” proposto come bis finale.