ILL CONSIDERED – UN PASSAGGIO DI TESTIMONE

Una delle poche, grandi mie emozioni di quest’estate è venuta dai Sons of Kemet di Shabaka Hutchings e co. a Fano Jazz by the Sea. Un’occasione a lungo inseguita in questi anni calamitosi, e giunta alla fine solo con un retrogusto amaro, dato che si è trattato di uno degli ultimi live dei Sons prima del loro scioglimento, annunziato poco prima.

Parliamo di più di un’ora e mezza di musica rovente, che non ha conosciuto un momento di pausa, in un’esplosione di energia e di aspra bellezza veramente rare di questi tempi. L’intesa ed il perfetto incastro tra lo stentoreo ed arringante sax tenore di Shabaka e l’incredibile agilità ed espressività della tuba di Theon Cross, tallonati da presso da due batteristi altrettanto inesauribili e perentori (Edward Waliki-Hick e Jas Kayser), hanno letteralmente trascinato un pubblico alquanto giovane, 700 persone che già a metà concerto erano tutte in piedi ed alla fine hanno letteralmente assediato il palco della Rocca Malatestiana.

I Sons of Kemet a Firenze due giorni prima. Bella ripresa amatoriale che restituisce bene anche l’atmosfera del concerto fanese

Un’istantanea musicale dai colori vividissimi, ma purtroppo condita dalla malinconia con cui si guardano anche le foto più belle di un album di ricordi, irrimediabilmente sfuggiti.

Forse c’è stato questa sorta di senso di mancanza a guidarmi invisibilmente verso uno dei primi appuntamenti di JazzMi 2022 (2 ottobre), con una formazione di cui non sapevo quasi nulla. Come in altri casi, anche per gli Ill Considered ho fatto un atto di fede sull’organizzatore, scommettendo sul suo gusto e coerenza di orientamenti.

Dopo qualche patema dovuto al solito caos aereonautico, sul palco della Triennale sono comparsi Idris Rahman (sax tenore e flauto diritto in bambù), Leon Brichard (basso elettrico ed acustico), Emre Ramazanoglu (batteria). In altre occasioni il gruppo è completato da un  percussionista. Anche loro sono ‘nuovi inglesi’ (dettaglio significativo..) che vengono dal melting pot della South London. Nella sua breve presentazione, il direttore artistico Luciano Linzi ha alluso alle assonanze del loro mondo musicale con quello dei trapassati Sons of Kemet.

Credenziale lusinghiera e certamente fondata, ma che può anche condizionare nell’approccio alla loro musica.

Il lungo set (praticamente ininterrotto salvo un paio di brevissime pause) ha preso le mosse da un’atmosfera meditativa e quasi lirica, in cui è emersa immediatamente l’ampia e fine tavolozza timbrica del sax di Rahman, che mostra subito un notevolissimo bagaglio strumentale, capace anche di suoni chiari, di un gioco sottile con spazio e pause. In questo la differenza con l’assertivo ed a volte stentoreo Shabaka è marcata. Intendamoci, anche qui il fraseggio si fa gradualmente dinoccolato e nervosamente frammentato, ma ci sono più sfumature e meno densità, un’esplorazione più ampia e diffusa delle risorse timbriche dello strumento, valorizzate anche da una pronunzia impeccabile e trasparente anche su lunghe note tenute.

Giusto per capire chi è Rahman al sax…..

Sin da questa prima fase lirica e quasi dolente appare cruciale l’apporto del basso di Brichard, autentico deus ex machina del gruppo, che dopo aver conferito spazio ed ariosità al suono di gruppo con qualche passaggio all’archetto sullo strumento acustico, passa con determinazione a quello elettrico. Uno strumento che personalmente ho sempre ritenuto più che altro ‘di potenza’, arduo imprimergli una visibile impronta personale sul piano del suono, bisogna esser Steve Swallow per riuscirci. Ed invece anche Brichard è un’eccezione: i suoi riffs nitidi e propulsivi in perenne evoluzione dettano il passo al gruppo, pilotandone con spontanea autorevolezza le lunghe ed inesorabili progressioni che sono una delle cifre distintive più evidenti dei Considered. I soli sono secchi, netti e vibranti.

Gradualmente infatti emerge una spinta possente ed inesauribile, sostenuta anche dal drumming ‘su due piani’ di Ramazanoglu, con accenti netti e seccamente scanditi sui tamburi (con qualche accenno di elettronica), accompagnati da una incessante cortina generata dai piatti.

E qui la possente identità di gruppo della band si impone in modo molto prepotente: il trio sul piano dell’energia e della compattezza fa concorrenza ai Sons, pur forti di un’organico più corposo in termini di dinamiche e timbri. Inesorabilmente braccato da batteria e basso (in questa fase Brichard si trasforma in un autentico persecutore….), Rahman prende letteralmente il volo, sfoderando un suono roco ed a tratti abrasivo, con un impeto travolgente sostenuto anche da un’energica ed estesa respirazione circolare. Lo slancio e la perentorietà sono quelli di Shabaka, ma secondo me anche con qualcosa in più: in Rahman c’è qualcosa del Coltrane più appassionato ed estatico, filtrato anche nei momenti più convulsi e parossistici da un controllo totale ed impeccabile. Insomma uno dei pochi ‘coltraniani dentro’ come dico io, che fanno sparire d’incanto i molti ‘di maniera’.  

A metà del set l’impenetrabile e travolgente muro di suono costruito dal gruppo conosce un piccolo pertugio, in cui si butta di prepotenza un bel pubblico di thirty-something che dà finalmente sfogo ad una vera ondata di entusiamo, immediatamente raccolta dal palco dove si accelera e si intensifica ancora di più. Alla fine questa bella platea, rispettosa della musica al punto di contenersi per un’ora e mezza, esplode in un’ovazione durata vari minuti. I Considered, vistosamente emozionati da questo caldissimo esordio italiano, nonostante le tirannie di organizzazione (il concerto è cominciato con un’ora di ritardo) concedono un ultimo, travolgente e rovente brano finale, e si chiude che più in bellezza non si può.

Scommessa vinta a mani basse di JazzMi, che ci ha fatto scoprire non degli emuli, ma i veri eredi dei Sons: la loro bandiera è raccolta, la loro perentoria chiamata alle armi ha trovato una risposta appassionata e creativa. Gli album sono belli, ma un loro live è una vera esperienza, come ce ne sono poche oggi. Milton56

Ancora dal vivo, il loro terreno d’elezione

4 Comments

    1. Grazie. Ennesimo punto a favore di Novara Jazz, soprattutto se si pensa che Ill Considered si sono formati nel 2017, se non sbaglio

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    1. A suo tempo nemmeno il bebop era il futuro del jass/jazz, per non parlare del free… entrambi ormai storia. Il jazz può esser molte cose, ma mai un orologio con le lancette che girano all’indietro. O peggio fermo…

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