AARON PARKS, MATT BREWER, ERIC HARLAND – Volume One (Ahem)
Anzitutto non chiamiamolo il nuovo trio di Aaron Parks, please, ma piuttosto il trio di Aaron Parks, Eric Harland e Matt Brewer, non ci sono leader in questo “Volume One”, ma una paritetica democrazia una e trina, un gruppo che nel modo di condurre le improvvisazioni ricorda quello mitico Jarrett/Peackock/De Johnette, ed è probabilmente difficile pensare ad un complimento (ed un augurio) migliore quando si tratta di jazz piano trio, visto anche il vuoto che il sostanziale ritiro di Jarrett, e la scomparsa di Gary Peacock, hanno lasciato nel cuore di legioni di ascoltatori ed appassionati. Peraltro si tratta anche di un tesoro non solo artistico, tutti sanno che Jarrett viaggiava su compensi monstre sia per i live che per le incisioni, e che generava utili altrettanto monstre e completamente fuori standard per tutto l’asfittico mercato jazzistico, animato per lo più da una messe di francescani-per-forza-di-cose che attualmente infilzano il pranzo con la cena profittando di una tastiera in un bar con cucina downtown. Chi or dunque sta intercettando il cospicuo lascito pianistico jarrettiano? Probabilmente nessuno, il geniaccio di Allentown gode tutt’ora di un’aura inarrivabile, due distillati da concerti antichi bastano a creare di nuovo il vuoto, blast from the past. Comunque, per stare al gioco e facendo finta d’essere in un ippodromo diremmo che a condurre la corsa, di qualche incollatura, ci sia il purosangue Vijay Iyer il cui eccellente trio è approdato ovviamente in ECM ed ha fatto incetta di premi, dimostrandosi in grado di attirare, oltre ai jazzfans più sgamati, anche una certa clientela giovane e cool, attenta all’evento giusto, in alcuni casi aspirante wasp nell’animo ed ancor più nelle scarpe. Dietro Iyer però il gruppo è bello compatto, Meldhau pare avere un po’ perso l’andatura e il piglio del favorito, troviamo qualche tentativo d’allungo qua e là, come quello che tenta per l’appunto Aaron Parks, scafato musicista di Seattle che ama anche sintetizzatori, Fender Rhodes e diavolerie elettroniche, già scelto giovanissimo da Terence Blanchard che lo ha letteralmente buttato nell’acqua alta facendolo esordire e suonare in tutto il mondo ed in OST prestigiose di film di Spike Lee e altro ancor. Dopo alcuni significativi episodi discografici da leader (segnaliamo “Invisible Cinema” Blue Note che nel 2008 si fece piuttosto notare) il nostro piazza ora questo scatto con “Volume One” per la misconosciuta Ahem Records, prodromo di un non del tutto inaspettato “Volume Two”, già disponibile in digital downloading.
Per questa registrazione, che risale all’agosto del 2021, i tre componenti del gruppo si sono ritrovati insieme dopo un certo periodo di stop pandemico ed han registrato con entusiasmo una session senza prove, senza precisi accordi, senza che si parlasse dei brani da eseguire e senza riascoltarsi dopo ogni take. Vent’anni e più di reciproche frequentazioni sono così tornate a sgorgare nel modo più naturale possibile, la gioia del ritrovarsi è di certo l’emblema di un disco che propone una milionesima versione di “All The Things You Are” (qualcuno ha nominato Keith Jarrett?) resa moderna ed avvincente, a dimostrazione di come sia possibile scavare ancora attorno a standard immortali, con risultati brillanti. Il connubbio ritmico Harland (d)/ Brewer (b) rischia di diventare un prestigioso marchio di fabbrica, i due viaggiano per tutto il disco su livelli d’empatia telepatici e non è un caso che anche un certo Gonzalo Rubalcaba se ne avvalga nel suo trio (tra poco uscirà il relativo disco sotto il nome di “Trio D’été”). Tra le composizioni proposte spicca la concentrica, swingante, “Centering” del collega Frank Kimbrough, brano che suona come omaggio ad un compositore e pianista eccelso e sfortunato, un musician’s musician per eccellenza che ci ha lasciato all’improvviso lo scorso anno, nel pieno della sua maturità artistica.
Completano la playlist di questo “Volume One” un buon numero di originals divisi tra i tre sodali, con il bassista Brewer a firmare “Aspiring To Normalcy” dal titolo eloquente e dall’incedere vagamente claustrofobico, con “Maiden” di Eric Harland che pare invece più un arrangiamento ed uno sviluppo cantabile, assai pacificato, del celebre viaggio hancockiano (Maiden Voyage), ed ancora il pianista di Seattle a sciorinare la sua celebrata vena lirica nella fastosa “Greetings”, posta in apertura di album ad aprire le danze e sciogliere i cuori, e nell’ineffabile “Eleftheria”, brano che si regge su sottili equilibri improvvisativi e che mette in luce tutto il magistero tecnico e la completa padronanza di un linguaggio fluente, armonicamente denso, dalle dinamiche mutevoli, pienamente dentro la cosiddetta linea pianistica bianca avanzata. La freschezza dell’incisione e la mancanza di cali di tensione rendono questo “Volume One” un disco di buona fruibilità in cui il sofisticato drumming di Eric Harland fornisce un peso specifico determinante, sorprende in diversi passaggi e si fa destinatario di numerosi ascolti.


