Suonare liberi da strutture armonico/melodiche in trio implica un’ approfondita conoscenza reciproca, la disponibilità di una precisa mappa identitaria e la capacità, non proprio comune a tutte le esperienze che scelgono questa via, di trasferire all’ascoltatore il significato ed il risultato di un dialogo, altrimenti ristretto al mondo auto determinato dagli esecutori. Se questi presupposti sono veri, il trio del giovane pianista leccese Francesco Negro, pare avere avviato in modo appropriato il proprio percorso ; Negro, il batterista Ermanno Baron ed il contrabbassista Igor Legari, tutti attivi in molteplici contesti al confine tra jazz e sperimentazione e con esperienze del pianista anche in ambito classico, suonano insieme da una dozzina d’anni e sono al terzo album pubblicato in questa formazione, ulteriore sviluppo di un percorso che si è connotato fin dai primi episodi, “Silentium” del 2011 e “Aspettando il tempo” (2015), nel tentativo di unire profondità della ricerca (del suono, ma anche di una dimensione spirituale nella quale il concetto di tempo risulta centrale) ad esigenza di comunicazione. Preferisco iniziare il racconto di “Sospese visioni” pubblicato dall’etichetta salentina Dodicilune records casa di molti progetti del jazz italiano contemporaneo più interessante, dall’ultima traccia, una raccolta e lirica versione di “Ida Lupino” di Carla Bley, perchè mi pare una sintesi esemplare della “voce” del trio, rigorosa nella forma ed articolata nei colori ritmici, profonda senza nascondersi nell’introspezione. Le note di accompagnamento del disco segnalano come il brano sia riportato quale esempio di una folgorazione più che di una visione, occorsa ad un Negro allora pianista adolescente, che assisteva anni fa ad un concerto perugino della Bley. Sta di fatto che le visioni estese nei quarantacinque minuti del lavoro paiono spesso echeggiare, insieme alle altre dichiarate influenze del titolare – da Bud Powell a Stefano Battaglia, John Taylor e Craig Taborn – atmosfere e modi del mondo legato alla compositrice statunitense e dei suoi compagni di vita e di musica, in particolare Paul Bley, all’interno di brani che alternano pathos e distensione a momenti di libera improvvisazione.
Se l’iniziale “Rifugio nel tempo” affida alle dense tessiture ritmiche degli strumenti ed al drammatico tema del pianoforte le riflessioni circa il ruolo del tempo nella visione dell’autore, la successiva title track, conclude una rarefatta esplorazione con un circolare tema che ne rappresenta epilogo inaspettato e foriero di luce. “Lungo il sentiero dell’Est” è una delle composizioni più articolate : un serrato ed angolare tema seguito da una frase più distesa definisce il perimetro che offre spunto al dialogo improvvisato degli strumenti prima di una sezione di stasi dalla quale riemerge il tema inziale ripreso dal contrabbasso. Immerso in atmosfere oniriche ed astratte, l’archetto de “Il sognatore” disegna un evocativo inizio, poi la direzione si perde, prevale un senso di straniamento fino a che il percorso riassume una rotta ritmica definita, per assegnare al pianoforte, ancora insieme al contrabbasso, il sigillo finale del brano. Infine le “Risonanze” del brano omonimo, trasfigurano dalla introduzione del solo pianoforte verso una dimensione da ballad che pone in evidenza l’esuberante tecnica pianistica di Negro. Completano la scaletta due “Frammenti”, il quarto e quinto di una serie avviata in precedenza, campionario di varietà timbriche fra suono e rumore, dedicati al versante più astratto e visionario dell’estetica del trio. La quale si presenta come entità già bene definita, ma suscettibile di ulteriori futuri sviluppi che sarà interessante registrare.
