GONZALO RUBALCABA TRIO D’ETE’- Turning Point – 5 Passion Records
Supporti disponibili: CD / Digital download
Sono lontani i tempi gillespiani in cui il rovente pianismo di un ventenne Gonzalo Rubalcaba finiva sotto la sorniona egida di Dizzy The Giant, da allora ha registrato più di quaranta dischi come leader o co-leader, lavorando sempre con i migliori jazzisti sulla scena e diventando una star planetaria, con un’impressionante serie di Grammy Awards, mantenendo sempre salde le radici afrocubane del suo pianismo.
Da una dozzina d’anni Rubalcaba, dopo aver lavorato a lungo per Blue Note e Verve, è diventato produttore di se stesso, fondando la 5 Passion Record, label che si occupa della pubblicazione dei suoi lavori e quelli di alcuni musicisti amici (Alex Sipiagin, Seamus Blake, Ignacio Berroa e pochi altri), documentando in proprio, e nei tempi decisi da lui stesso, una produzione calibrata al millimetro, che testimonia in varie situazioni poliedricità ed evoluzione stilistica limpida, apprezzabile anche nel best seller “Skyline”, registrato nel 2018 con Ron Carter e Jack De Johnette e premiato, ça va sans dire, con un meritato Grammy.
Questo “Turning Point” è stato registrato sempre nel 2018, giusto un mesetto dopo “Skyline”, in quel di Miami, e prosegue quella che pare essere una ricognizione sulla forma del piano jazz trio, sviluppando il lavoro in modo diverso, con una ritmica che Rubalcaba frequenta saltuariamente dal 2007, più giovane e flessibile, totalmente concentrata sulle composizioni del pianista, sette originals, e su questo punto di svolta quasi invocato da un Rubalcaba sempre più sicuro dei suoi mezzi. L’infuocato acrobata della tastiera che costruisce meraviglie latine qui è più un sofisticato performer che utilizza quegli stilemi con una certa parsimonia nelle proprie composizioni, inserendoli naturalmente in un canovaccio jazzistico moderno, di grande fascino e con continui cambi di tempo, libere digressioni contemplative (il bolero di “Otra Mirada”) oppure s’adopera ad abbattere confini di genere sviluppando brevi bozzetti, ora improvvisati, ora dalle fragranze post bop, poggiandosi su Eric Harland e Matt Brewer che mantengono costanti up-tempo di grande stimolo alle sortite della sua mano destra, che resta tra le più veloci della scena (“Turning I” e “Turning II”), facendo ovviamente leva su un senso del ritmo proverbiale, capace di ricondurre il discorso pianistico/percussivo in un crogiuolo riconoscibile ma dai contorni sfumati, sostanzialmente nuovo per forma e colori.
Il trio dialoga con costrutto in ogni situazione dell’album, divertendosi assai, presumiamo, e trovando una voce comune potente ed ispirata. Non ci sono quindi confini latini a incasellare questo lavoro che vive anche di passaggi aspri, la fluidità dei flussi ritmici è sempre ricercata e messa al servizio di un advanced jazz che sfrutta il conclamato virtuosismo e la finezza di tocco di Rubalcaba ma si prende rischi, viaggiando con ben poco di prestabilito alle spalle, come accade per esempio in “Joy, Joie”, una fitta conversazione a tre che dopo aver vagato in territori semi inesplorati s’incanta in una frase pianistica iterata a lungo prima di sciogliersi nel breve, consolatorio finale.
Gli anni che han fatto seguito a quest’incisione del 2018, e la recente ripresa di concerti in tutto il mondo, han riproposto un Rubalcaba come sempre poliedrico ma più canonico, come si è visto accanto alla cantante Aimeè Nuvola, per esempio, o nel recente concerto Blue Note con Stanley Clarke, ma questo disco, che è stato proposto dal vivo soprattutto negli States e che dovrebbe essere oggetto d’una prossima turneè europea col Trio d’Etè, costituisce come da programma un punto di svolta importante nella discografia del Nostro.
