Mi è capitato di recente di assistere alla data finale del mini tour italiano del trio di Ed Cherry, con il pianista Massimo Faraò ed il contrabbassista Nicola Barbon, un concerto intenso e rilassato, costruito sulle note blue ed i serrati fraseggi del pianoforte, la robusta carica ritmica del contrabbasso ed un chitarra che letteralmente scolpisce la struttura armonica dei brani con sequenze di accordi collegate in un flusso dal profondo senso melodico. Standards, covers di George Benson o di Duke Ellington ed alcune apparizioni a sorpresa nell’a’ atmosfera da jam session finale (ospiti Andrea Pozza, Mila Ogliastro ed il trombettista Giampaolo Casati) hanno riempito il locale di blues, jazz e buone vibrazioni, mandando tutti a casa felici e soddisfatti. Naturale mi venisse voglia di approfondire il percorso artistico del sessantottenne chitarrista del Connecticut, a fianco di Dizzy Gillespie per oltre un decennio, quindi coinvolto in avventure di stampo diverso da Paquito D’Rivera ad Henry Threadgill, fino ad un carriera solista che ha messo insieme non più di sei/sette lavori. Ho posato quindi l’attenzione sull’ultimo uscito, “Are we there yet?”(Cellar music) un live registrato al GB’s Juke Joint,di New York a giugno 2022 con Byron Landham, Kyle Koehler e Monte Croft, ed un pò in extremis, visto il tempo passato dalla sua pubblicazione, eccomi a raccomandarne l’ascolto. Si perchè, bene charirlo subito, il disco è un vero concentrato di delizie per chi ami il blues, il soul jazz ed i caldi toni di un organo hammond abbinato ad una chitarra che sembra essere il più plausibile ponte di collegamento fra Wes Montgomery ed il George Benson meno piacione.
Il primo brano, agile e swingante, “Jean -Pauline“, racconta già tutto: poche note dell’organo, che rimane a creare lo sfondo per un lungo, arioso solo del vibrafono, quindi la chitarra che porta il brano, in pochi passaggi, dai territori del blues, a quelli di un brioso funky. Si continua così, ricreando in una dimensione raccolta ma esuberante, piccoli universi blues in veste classica (“Green jeans”, “Are we there yet?” “Mr Walker“), declinati in chiave gospel (“Holy land”), combinati ad elementi di folklore esotico, nella originale “Japanese folk song“, disposti in forma di fascinosa ballad da ore piccole (“Spring is here“), o adagiati su un soffice tappeto latin (“Tres palabras”) in un insieme che suona familiare, ma sorprende per la sensibilità ed il gusto nel dosare gli ingredienti a disposizione, e farà felici gli amanti di questo genere di sonorità. Nella cui schiera mi includo volentieri, sottolineando il piacere ricavato anche dall’ascolto del potenziale hit “Lawns“: forse un piccolo cedimento ad un clima più easy rispetto al resto del materiale, con il tema cantabile scandito dalla chitarra su una ritmica indolente, ma quando partono le note gentili della chitarra e quelle cristalline del vibrafono a riempire l’atmosfera, tutto va al posto giusto. Non perdetevelo, questo di Ed Cherry.