CARTOLINE – Artacts23, la musica improvvisata, le nuove generazioni

3-5 marzo 2023, St. Johann in Tirol: anche quest’anno siamo ritornati in Tirolo, agli inizi di marzo, per la 23a edizione di Artacts, Festival for Jazz and Improvised Music, una tre giorni dedicata alla musica creativa che si è svolta puntando l’attenzione soprattutto sulle ‘nuove leve’, e rispecchiando la presenza ormai consolidata, in questo ambito, di improvvisatrici e compositrici – come leader di propri ensemble, protagoniste in duo, o all’interno di più ampie formazioni come pure in trio o in quartetto.

Grande spazio alle musiciste, dunque, prima fra tutte la grande Joëlle Léandre, che abbiamo avuto il piacere di ascoltare in trio con l’austriaca Elisabeth Harnik al pianoforte e lo sloveno Zlatko Kaučič (batteria e percussioni, già al fianco di musicisti quali Evan Parker e Lotte Anker, tra i molti altri) in un set magistrale, gesti sonori leggeri e naturali anche nei momenti più intensi e veloci, equilibrio, interplay, mestiere di lunga data e grande arte improvvisativa che si offre al pubblico assieme al grammelot parlato-cantato di Joëlle e alle sue mani che gesticolano, mentre suona, accompagnando spontaneamente la conversazione.

Joëlle Léandre. Fotografia di Dawid Laskowski

Joëlle che poi abbiamo ritrovato – nella sua usuale verve ironica e auto-ironica (“I’m the oldest here!”) e nella fisicità del rapporto con lo strumento – in un set pomeridiano in duo con il giovane contrabbassista brasiliano Vinicius Cajado, in un emozionante incontro tra maestri e nuove stelle all’insegna della collaborazione e dell’ascolto, dove si costruisce mano a mano un’intesa paritaria fatta di spazi ora dell’uno ora dell’altra, rimandi reciproci, velate sfide. E se Cajado non manca di mostrare tutto il suo rispetto verso Léandre, molto chiara e definita risulta la sua voce individuale, peraltro ben documentata dal suo album di debutto in solo “Monu” del 2021, come pure dalle sue numerose frequentazioni musicali negli Stati Uniti e in Europa, dove ora vive.

Tra queste frequentazioni, il Sugar 6TTT dell’austriaca Susanna Gartmayer, progetto speciale che ha aperto Artacts ’23, e che ci ha permesso di conoscere questa clarinettista e compositrice – curatrice anche delle Monday Improvisers Sessions al club Celeste di Vienna –, in sestetto con sodali di stanza nella capitale austriaca (Cajado, il chitarrista giapponese-austriaco Kenji Herbert, il clarinettista statunitense Jake Mann) e attivi sulla scena improvvisativa internazionale (John Edwards contrabbasso, Maria Portugal alla batteria). Set che si muove tra composizione e improvvisazione, sonorità angolari e scure che si aprono di tanto in tanto a una sotterranea vena melodica e avvolgente, ad avviare con fresca energia la prima serata del festival, che ha dato poi spazio alla giovane sassofonista danese Signe Krunderup Emmeluth (già membro della Fire Orchestra! di Mats Gustafsson e nelle fila della Super Sonic Orchestra di Gard Nilssens) e al suo quartetto “Amoeba”, vento del nord che spira con urgenza espressiva e con grande gioia, in un concerto dal sound imponente in cui spicca la lucidità, anche lirica, della leader al sax e al flauto traverso.

Emmeluth’s Amoeba. Fotografia di Dawid Laskowski

E poi, ancora due donne a calcare il palco di Artacts, per un duo tra il violino e la voce di Biljana Voutchkova e la tromba di Susana Santos Silva (del 2022 il loro primo album in duo, “Bagra”), che conducono l’ascoltatore in territori più rarefatti e marcatamente sperimentali, e che lasciano infine la scena al trio Harnik/Léandre/ Kaučič a concludere in bellezza la prima serata festivaliera, nella quale già si delineano le molteplici direzioni tracciate dal festival per questa edizione, tra giovani, collaborazioni transnazionali, apertura ai vicini paesi dell’Est come alla scena scandinava, senza dimenticare tuttavia quanto di meglio può venire dagli Stati Uniti.

Così, la seconda serata ha visto in azione l’esemble di dieci elementi guidato dell’energico quanto carismatico clarinettista norvegese Andreas Røysum, a guidare un concerto di grande impatto, ispirato tanto all’avanguardia e al free quanto alla musica tradizionale africana e asiatica, in un sound che viaggia quasi sempre veloce e imponente, solare, festoso, dentro e fuori le strutture compositive, e che sa dare risalto ad ogni singolo componente del gruppo (forte anche qui la presenza femminile, tra cui ritroviamo Signe Krunderup Emmeluth), ed è un gran bell’inizio di serata. Meno convincente – per chi scrive – è risultato invece il duo svedese di Mats Gustafsson (blowing stuff, organ surfing) e Joachim Norwall all’elettronica (guitar wanking, synth loving), di taglio fortemente sperimentale e giocato quasi interamente su un’interazione temporalmente molto dilatata tra gli universi sonori creati dai due musicisti.

Andreas Røysum Ensemble. Fotografia di Dawid Laskowski

Più idiomatico in direzione free, il successivo set con il progetto Space (Lisa Ullén piano, Elsa Bergman contrabbasso, Anton Jonsson batteria) ha fatto virare la prospettiva verso linguaggi più riconoscibili e a tratti vicini alla musica colta contemporanea, aggiungendo così un ulteriore tassello – vitalistico, scuro, inquieto – all’esplorazione della scena nordica proposta dal festival. Finale con botto, poi, con un attessissimo passaggio statunitense e il trio Taborn/Reid/Smith, che non ha disatteso le aspettative del sempre fitto pubblico con un concerto di pregio, musica corposa e ostinata che sa però farsi anche lieve e dilatata, echi dalla tradizione e fughe nervose nell’oggi.

Una quindicina di concerti nell’arco di tre lunghe serate (la domenica, a cui non abbiamo potuto assistere, si preannunciava ugualmente promettente e spericolata, con la Totally Mechanized Midi Orchestra di Chris Janka, i Pink Forest e il quartetto Soundbridges con Ken Vandermark qui associato a figure di spicco della scena free ed elettronica germanica) e di due sessioni pomeridiane, un pubblico sempre attento e numeroso, scelte radicali e di qualità, e non da ultimo un ambiente familiare che permette un contatto anche diretto con i musicisti: questi gli ingredienti che fanno di Artacts, diretto anche quest’anno con grande cura da Hans Oberlechner e Karin Girkinger, un festival che vale decisamente la pena di seguire.

In copertina, il trio Harnik/Léandre/Kaučič. Foto di Dawid Leskowski

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