- AHMAD JAMAL
- Ballades
- Jazz Village
- Supporti disponibili: CD / 2 LP
Novant’anni dietro l’angolo. Ahmad Jamal è davvero una leggenda vivente. E questo, incredibile a dirsi, è da considerarsi il suo primo disco in solo, se si chiude un occhio su tre dei dieci pezzi in scaletta, in cui compare il tocco del fidato bassista James Cammack, compare di mille incisioni. Nel corso della sua lunghissima carriera il pianista di Pittsburgh ha ricevuto onori ma anche numerose stilettate, per molti lustri era stato infatti inquadrato da certa critica come pianista “effettistico”, attratto da barocchismi un po’ fini a se stessi (lo stesso Nat Hentoff usò termini come “pianista da cocktail”) mentre ora la deferenza con cui si avvicina il suo nome è del tutto scevra di ombre, massimamente in Francia, dove Jamal, al secolo Frederick Russell Jones, è amato oltre ogni dire, come s’è visto al Festival di Marciac anche nel 2019, dove tornava per la quindicesima(!) volta, accolto in modo principesco dai guasconi innamorati del jazz che abitano quelle lande (e che non devono di certo sorbirsi i Mika o i ChainSmokers per fare sold-out tutte le sere, tanto per dirne una).
L’amore con l’Hexagone è ricambiato fin dal titolo, declinato in francese, e si coglie appieno nel brano con cui Jamal apre il disco: “Marseille”, che diede il titolo a un magnifico album di alcuni anni or sono in cui veniva eseguito in tre versioni affatto diverse, e che qui, in solitario, suona semplicemente perfetto, come un pastis preso al tramonto nel Vieux Port, con Notre-Dame de la Garde benedicente dalla collina.
E poi, da Marsiglia, via che si scivola scollinando tra dolcezze che suonano al contempo familiari ed inaudite, come “Because I Love You”, una sorta di caffè fumante per amanti indolenziti, da lì si approda agli accordi dell’immortale “I Should Care” rielaborata e scomposta con la consueta fantasia “à la Jamal” che lampeggia in un controllo assoluto, commovente.
I toni impressionistici di “Ballades” si fanno più articolati nell’immortale “Ponciana”, il pezzo che più di ogni altro è diventato bandiera dell’Ahmad Jamal Style, brano del 1936 di Nat Simon che il nostro ha eseguito per centinaia di volte dal 1958 in avanti, un gioco di specchi tra tensione e distensione, la summa di una vita sulla tastiera.
La playlist, di somma eleganza, regala anche un’ispirata “What’s New” fresca e rielaborata all’impronta, mentre scorrono naturalmente le liriche cantate da Sinatra e da Ella (What’s new? / How is the world treating you? / You haven’t changed a bit / Lovely as ever, I must admit…) e offre il delicato medley “Spring Is Here / Your Story”, una delle (tante) vette emotive del disco, che nella sua interezza ci appare come uno straordinario commiato, di sorridente bellezza.
In questi giorni cupi e dolorosi che tutti stiamo attraversando il conforto dell’arte si sta rivelando indispensabile, e anche quest’opera d’una disarmante classicità potrebbe essere d’aiuto, per me lo è stato, aria fresca, ecco, bagliori di Primavera in arrivo, nonostante tutto.