Immensi. Anzi ciclopici. Sono i primi aggettivi che vengono alla mente inoltrandosi negli spazi delle Officine Grandi Riparazioni, un grande sito di archeologia industriale nella zona di Porta Susa a Torino. Entrare in queste autentiche cattedrali sconsacrate dell’industria crea sempre in quelli della mia generazione un groviglio di emozioni e pensieri contrastanti, ma questo non è luogo per parlarne.

Ma ritorniamo in noi: OGR è rinata da alcuni anni come spazio per eventi culturali di vario genere, ma lascia un po’ increduli che sia stata scelta per ospitare un concerto per trio jazz che rappresenta un po’ l’ouverture del Torino Jazz Festival.
Al primo affluire del pubblico la spiegazione diventa evidente: le centinaia di posti della navata centrale della Sala Fucine sono esauriti, ed in corsa ne sono stati aggiunte altre centinaia nelle due navate laterali munite di maxi schermi che inquadrano il palco, anche questi sold out: sono francamente basito, ad occhio in totale si tratterà di oltre 1.000 posti, forse anche 1.500.
La meraviglia cresce ancora al pensiero che questa platea veramente oceanica per un concerto jazz si è radunata per una proposta che non ha nulla di spettacolare o di facile presa qual è quella del sofisticato e raffinato trio di Kenny Barron.
Il pubblico appariva molto ben assortito generazionalmente, la presenza di giovani si notava con evidenza. Mi è parso che non si trattasse di una platea occasionale, dal momento che ha seguito il concerto in modo concentrato ed attento; altrettanto non si può dire del pubblico del Blue Note di Milano che ha assistito poche settimane fa ad un set dello stesso pianista in compagnia di un intrigante e variegato quintetto.
Barron è un maestro della “arte del togliere” teorizzata da Enrico Rava. E’ un pianista che ben si potrebbe definire l’eleganza fatta persona, salvo che questa definizione potrebbe facilmente suonare diminutiva, dal momento che il suo sofisticato discorso musicale risulta sempre pervaso da una lieve, ma percepibile tensione.
Il suo è un pianismo sottile, fatto di sfumature e di sottigliezze: il fraseggio è essenziale e nitido, caratterizzato da una brillantezza dovuta alla predilezione per i registri medio alti, quelli più gravi lasciati al valido presidio del basso. Tra l’altro, il trio riesce a emergere con bella chiarezza e dettaglio dagli spazi oceanici di OGR, bel lavoro dei tecnici che hanno anche dovuto riaggiustare il suono per l’ampliamento della platea.
Il book del concerto è stato molto vario e stimolante, ma sempre interpretato ‘in punta di penna’, con sobrietà ed eleganza innata, cifre distintive del pianista: il che non esclude una raccolta intensità di espressione. Tra molte altre cose abbiamo visto sfilare un poco noto ‘Theo’ di Monk (il pensiero va alla lunga milizia di Barron in Sphere, formazione che ben poteva dichiararsi erede legittima del Mad Monk), un ‘Night Falls’ di Charlie Haden, cui Barron è stato a lungo legato nella prediletta formula del duo, ed anche un fascinoso e seduttivo original dedicato da Kenny ad una misteriosa Signora del Voodo ancor oggi ricordata a New Orleans.
Rodatissimo ed affiatato il trio. Il basso di Kinoshi Kitegawa è dotato di bella cavata e di fraseggio sicuro e netto, in linea con il leader per quanto riguarda la misura: non a caso Barron vi poggia molto, concedendo al bassista giapponese un ruolo di tutta evidenza sia nei passaggi di assieme che nei frequenti spazi solistici.
Il batterista Jonathan Blake, evidentemente stimolato dalla gigantesca platea, si è ritagliato un lungo assolo ricercato e fantasioso che, pur senza concedere nulla alla ricerca dell’effetto facile cui indulgono spesso i suoi colleghi, ha scatenato definitivamente l’entusiasmo della platea oceanica di OGR: da un consenso caldo, ma attento agli spazi della musica, si è passati in breve ad un’ovazione da stadio, che ha accompagnato il finale del concerto, con il sobrio Barron visibilmente impressionato dall’accoglienza ricevuta.
Esco dalle monumentali Officine sotto un’improvviso monsone, e tuttavia non riesco a trattenermi da alcuni confronti tra questa esperienza e la realtà milanese. E’ chiaro che a Torino sul fronte organizzativo sono all’opera mani forti e con ampie risorse, che qui invece latitano del tutto. Ma va messa in conto anche la realtà di un pubblico di gran lunga più consistente ed anche più colto e formato. Sportivamente non c’è che da prender atto di un risultato netto: ‘bugia nen’ versus ‘bauscia’ 1 – 0, ritorno a data da destinarsi…. Milton56
Il trio ora in azione dal vivo, nel 2019 al festival basco Getxo…. nulla di più recente purtroppo, ma è un bel po’ di musica….