Sono giorni che provo ad informarmi su nuove produzioni discografiche da proporre ai lettori di tracce, ed, inevitabilmente, incontro progetti basati sulla riproposizione di canzoni acquisite al patrimonio del jazz quali standards, talmente belli ed originali (sembra un ossimoro ma cercherò di spiegarmi) da rinviare il racconto di altre proposte di musica “nuova”. Avevo appena finito di familiarizzare con il tributo al compositore Jimmy Van Heusen della cantante veneta Francesca Bertazzo Hart, raccontato qui, che ecco all’orizzonte un disco di standards jazz da parte di Rickie Lee Jones, chanteuse statunitense da sempre in bilico fra diversi territori, rock, jazz e canzone d’autore, in passato vicina a vita e musica di Tom Waits. La Jones, oggi settantenne e residente a New Orleans, con “Pieces of treasure“(BMG/Modern recordings) fornisce la sua versione di classici come “On the sunny side of the street””, “All the way” , “September song” ed altri sette evergreen, in parte anch’essi provenienti dal repertorio di Van Heusen: toni pacati e rilassti, qualche invenzione come l’oud nella intro di “Nature boy” e la sua inalterata voce da donna/bambina che cesella con naturale sensualità le celebri melodie accompagnata da un discreto background jazzistico.
Stavo quindi iniziando a domandarmi se tale proliferazione di covers fosse da considerare indizio di una generale crisi di creatività, quando, un paio di giorni fa, ho assistito ad un concerto che mi ha fornito la conferma del valore e dell’attualità di un progetto basato su vecchie canzoni. Siamo su tutt’altre coordinate rispetto agli altri esempi citati, qui è di scena la scuola genovese dei cantautori degli anni sessanta e la protagonista del lavoro, già presentato su TDJ nell’edizione discografica curata dall’etichetta salentina Dodicilune, è la cantante pugliese Serena Spedicato. Al Teatro Sociale di Camogli, un gioellino ottocentesco da qualche anno restaurato e sede di interessanti programmi di prosa e musica, “Io che amo solo te” ha fatto il suo esordio in terra ligure, al termine di un piccolo tour europeo. Dal vivo le canzoni di Bruno Lauzi (“Ritornerai”, “Il tuo amore“), Sergio Endrigo (“Io che amo solo te“), Umberto Bindi (“La musica è finita ” e “Il nostro concerto“, proposta come bis), Luigi Tenco (“Mi sono innamorato di te”, “Un giorno dopo l’altro”, “Ho capito che ti amo“), Gino Paoli (“Sassi”, “Che cosa c’è“) e Fabrizio De Andrè (“Bocca di rosa” e “Anime salve”) – i quali hanno progressivamente affollato il palco anche in ritratti d’epoca – acquisiscono, nell’interpretazione sentita e ricca di emozione di Serena Spedicato e grazie agli arrangiamenti davvero baciati dalla grazia del fisarmonicista Vince Abbracciante, una luce tutta nuova, carica di storia, ma anche proiettata nel presente e già rivolta al futuro. E’ un pò il valore di questi “pezzi di tesoro” come dice Rickie Lee. Aiutarci, con le loro piccole chiavi di lettura, fatte di note e poesia, a capire meglio noi stessi, che siamo quelli di un secolo fa, quelli di oggi e quelli del prossimo secolo. Lo ha detto Luigi Tenco e Serena ha reso vivido questo pensiero. A Camogli il pathos delle canzoni, musicalmente condotte dalla chitarra di Nando Di Modugno, dal contrabbasso di Giorgio Vendola e dalla fisarmonica di Abbracciante, che sposta spesso l’asse della musica verso territori jazzistici come nella “Arrivederci” solo strumentale dedicata a Chet Baker, è stato reso più forte dalla presenza in sala e dall’apprezzamento di Gianpiero Reverberi, che di quelle storie genovesi di musica, mare e caruggi è stato uno degli ispiratori. Un progetto di musica e parole, quelle che illustrano la vita dei sei cantautori, scritte da Osvaldo Piliego e recitate dalla cantante, davvero riuscito e che merita ampia diffusione. A partire, magari proprio dal settimo protagonista, la città di Genova, che è un pò il convitato di pietra di tutta questa ammirevole faccenda.
In qualità di presidente dell’Associazione MUJIC – Monterosi per Urbani Jazz Informazione e Cultura volevo che ti arrivasse l’informazione che stiamo per pubblicare un disco di Massimo Urbani che è, come dire, un altro di questi tasselli talmente belli e “originali” che spero ti ispiri un altro articolo di questo tono 😀 Per informazioni vorrei che mi contattassi a: info@mujic.org
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“…la città di Genova, che è un pò il convitato di pietra di tutta questa ammirevole faccenda.”. Eh, molte città italiane non amano rispecchiarsi nella propria musica, quella che le racconta come veramente sono (o erano…..). Ormai le città sono operazioni di marketing, l’apparenza è tutto e dietro nulla. Qualcosa sarebbe d’impaccio… vedi Milano. Milton56
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