L’autunno dorato di Kenny Barron – “Beyond This Place”

KENNY BARRON – Beyond This Place – (Artwork Records) Supporti disponibili: CD / LP

Un maestro del pianoforte con la sua storica sezione ritmica, un grande vibrafonista reduce da mille battaglie ed il giovane sax più dotato e promettente d’America. Una band che sulla carta promette molto e che all’ascolto va oltre le aspettative, con un leader geniale che si svela lungo una teoria di originals, standards ed immancabile gemma dal libro di Monk (“Wee See”), con uno stile sempre riconoscibile ed intenso, ora asciutto, ora scintillante, e che investe con grazia immensa tutta la storia del jazz moderno, con i musicisti profondamente immersi in un linguaggio che si fa conversazione ininterrotta, appassionata, sorretta in ogni passaggio dalla sensibilità melodica di un pianismo raffinato e d’estrema precisione.

Insomma, Kenny Barron continua a non sbagliare non dico un disco, ma nemmeno un minuto di un disco, viaggia verso le 81 primavere ed i suoi lavori vivono sempre di un mirabile equilibrio interno, tensione e distensione convivono nei blues più canonici o nelle ballad più struggenti, come quella che apre l’album, una vecchia “The Nearness of You” tirata a lucido, con Immanuel Wilkins che affianca il re leone sciorinando un eloquio sassofonistico senza tempo, mentre il successivo “Scratch”, proposto per la prima volta da Barron nel 1985 in un trio con Dave Holland e Daniel Humair, cambia di netto le atmosfere, trattandosi di un avanzato veicolo post-bop, che s’inerpica, con il vibrafono di Steve Nelson, in un territorio ascoso, forme libere che poi si stemperano in una narrazione vagamente monkiana.

L’intesa, che per comodità definiremo “magnetica”, con la fidata ritmica composta dal bassista Kiyoshi Kitagawa e dal batterista Johnathan Blake fa viaggiare il trio come un treno -ed è una goduria ininterrotta ascoltarli all’opera nel fitto passaggio dei rimandi e degli accenti- ma poi sono le voci di Wilkins e Nelson a rendere unico questo lavoro, poichè offrono un ventaglio di soluzioni stilistiche variegate, insomma è praticamente impossibile annoiarsi per un istante, la geometria variabile del gruppo attira tutta l’attenzione possibile, mentre sfilano cavalli di battaglia senza tempo come “Softly, as in a Morning Sunrise ” od originals deliziosi come “Blues on Stratford Road” dalla penna del drummer Johnathan Blake.

E che dire del leader. Che dire di questo miracolo vivente, che prima ancora di compiere vent’anni suonava già nel quintetto stabile di Dizzy Gillespie (grazie all’acume di James Moody sostituì infatti Lalo Schifrin) che ha offerto generosamente la classe del suo pianismo a Yusef Lateef, Stan Getz (clamoroso il feeling tra i due), Joe Henderson, Woody Shaw, Ella Fitzgerald, Milt Jackson, solo per citare alcuni degli incontri luminosi che anche questa volta immaginiamo in controluce, stratificati in questi brani, dorati frutti tardo autunnali che il pianista di Filadelfia ci consegna sorridendo, e di cui non possiamo che essere grati. Uno dei migliori dischi usciti nell’ultimo periodo, senza alcun dubbio.

(Courtesy of Audioreview)

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