GOLDINGS / BERNSTEIN / STEWART
TOY TUNES (PIROUET)
Senza dar troppo nell’occhio questo piccolo combo approda, con la grazia che lo contraddistingue da sempre, al proprio dodicesimo album, a 27 anni di distanza da “Intimacy of The Blues”, un esordio che diceva molto fin dal titolo “ellingtoniano”.
Son passate generazioni di jazzisti, stelle di prima grandezza sono svanite nell’incerta nebulosa del digitale, si sono affermati stilemi più o meno nordici, valzer musette e cori sardi sono stati calati in contesti di free jazz edulcorato in salsa hip hop, insomma se ne son viste di tutti i colori, ma questi tre maestri dei rispettivi strumenti, scevri ed estranei ad ogni moda, han continuato a ribadire una tranquilla autorità, forgiata in centinaia di concerti, per lo più a NYC e dintorni.
Profondità, lirismo, complessità non fanno difetto a questo brillante “Toy Tunes” il cui menu è simile ad altre occasioni, un mélange di nuovi originals (due di Stewart e uno a testa per Goldings e Bermstein) e alcune gemme ripescate dall’oblio, come l’inattesa, straniante “And Now The Queen” di Carla Bley, riletta con l’ausilio della partitura originale scritta a mano dalla stessa Carla, onorata della richiesta, o come “I’m in the mood for love”, una variante dell’arrangiamento realizzato dall’organista per Jim Hall un quarto di secolo fa, e qui magnificamente interpretato soprattutto da un Peter Bernstein che pare toccato dalla grazia sine die.
L’organ trio sciorina classe pura in “Toy Tune”, al singolare, brano di Wayne Shorter del ‘65 contenuto nel Blue Note “Etcetera”, un atipico swing in 4/4 dai contorni inquietanti cui contribuì largamente Herbie Hancock, e qui eseguito con il medesimo pathos ma leggermente più decontratto. “Suonare pezzi di Shorter è come giocare col cubo di Rubik” – ha dichiarato Goldings a tal proposito, e questi tre ragazzi se la “giocano” alla grande, per 47’ di formidabile Jazz moderno.
(Courtesy Of AudioReview)