In prima battuta, questo è un articolo che riguarda soprattutto i nostri lettori milanesi, ma dietro covano note questioni di interesse generale riguardanti la sopravvivenza nelle nostre città dell’attività musicale dal vivo di rilievo culturale.
Avevamo seguito con attenzione la nascita e lo sviluppo della Birreria Bonaventura (sito con programmazione), che nel quartiere Barona di Milano aveva avviato un’attività musicale dal vivo via via sempre più intensa, soprattutto nel campo del jazz. All’appuntamento settimanale del martedì sera di recente si era aggiunto un giovedì sera dedicato alle jam session, con una band ‘residente’ (in genere per un periodo di un mese), che dopo un set condotto ‘in solo’, in quello successivo si apriva alla partecipazione di musicisti esordienti che avessero la stoffa per misurarsi con trii pianistici in genere già alquanto ‘ferrati’ professionalmente. Spesso poi si aggiungevano concerti straordinari con jazzisti italiani e stranieri di consolidata notorietà. Negli altri giorni della settimana andavano in scena con regolarità blues, soul, rock e swing. Il tutto in una cornice di calda informalità e relax, e con prezzi decisamente contenuti ed abbordabili anche da un pubblico giovanile, dettaglio di non secondaria importanza in una delle città più esose d’Europa, anche per quanto riguarda la cultura e gli spettacoli (e c’è persino chi sotto sotto mena vanto di questo triste primato…)
Giorni fa Bonaventura ha ufficializzato una notizia che da tempo era nell’aria: dal prossimo 31 gennaio abbandonerà gli accoglienti locali di Via Bonaventura Zumbini a Milano, per trasferirsi a Buccinasco, Via Modena 15. L’attività musicale prosegue, continua a rimanere aperta la piccola vetrina in cui tanti gruppi emergenti ed anche solidamente affermati del jazz italiano venivano a presentare dal vivo loro nuove registrazioni o semplicemente a ravvivare e consolidare il rapporto con il loro pubblico: gli auguriamo tutto il successo che ha già dimostrato di meritare e nel nostro piccolo cercheremo di rimanergli vicino. Non ci si può nascondere però che il trasferimento in un comune dell’hinterland milanese (tra l’altro in via alquanto periferica), non raggiungibile in ore serali con mezzi pubblici, non mancherà di incidere in certa misura sull’accessibilità e sulla frequentazione dei concerti, prima facilitata dall’ubicazione in zona cittadina.
Ovviamente questo trasferimento non risponde ad un capriccio dei gestori, ma è conseguenza forzata di un tenace forcing messo in atto dal vicinato di via Zumbini con le consuete motivazioni: movimento notturno (nota bene: il locale aveva una capienza inferiore ai 100 posti ed era frequentato da molti over 40….), e soprattutto asserito rumore derivante dai concerti (che tra l’altro si concludevano ben prima di mezzanotte) etc. Da frequentatore di Bonaventura mi sento di affermare senza tanti complimenti che si tratta delle solite paranoie quietistiche meneghine, che curiosamente rientrano davanti ad attività di ben maggior impatto sull’ambiente urbano, ma sostenute da robusti interessi commerciali, cospicua forza finanzaria e, diciamocelo chiaro, di efficace e pesante capacità di lobbying . I locali interni del Bonaventura erano ben isolati, il solo vicino confinante era la reception di un residence al piano superiore, l’immobile era stato affittato sin dall’inizio con espressa destinazione a pub con attività musicale dal vivo. Qualche problema di diffusione della musica in un dehor compreso in un vasto cortile/giardino chiuso poteva esser affrontato e risolto senza grandi patemi. Accludo link a foto panoramiche di Google, attraverso le quali ciascuno può farsi un’idea molto chiara della attuale (e prossimamente passata) collocazione ambientale del club. Last but not least, Bonaventura è gestito da una cooperativa sociale, una di quelle vere… che tra l’altro offre opportunità di inserimento lavorativo a persone svantaggiate. La classica ‘ciliegina sulla torta’, del tutto immangiabile in questo caso.
Una Milano che oggettivamente si conferma nemica della musica quotidiana, quella che sul piano culturale conta veramente molto di più di quella che si celebra in rare, isolate e sempre meno accessibili sedi istituzionali, è riuscita quindi ad espellere una piccola luce indipendente e creativa che rischiarava nel suo piccolo le sue notti in una semideserta via di periferia. Molto bene, “l’ordine regna a Varsavia”, come diceva trucemente qualcuno: il paragone non sembri improprio, una città che riesce a chiudere ogni spazio pubblico di vita culturale gestito in modo indipendente è un luogo tetro ed esposto fatalmente a degrado dell’ambiente sociale ed urbano, ed in prospettiva anche a problemi nel settore della cosiddetta ‘sicurezza percepita’, preoccupazione principe del già citato quietismo cittadino. Anche vicende analoghe in altri campi (ad esempio le traversie del cineclub ‘Il Cinemino’, costretto alla chiusura per oscure ‘questioni statutarie’ dopo aver raccolto in pochi mesi 560 soci fondatori e finanziatori e 14.000 iscritti) confermano questo quadro deprimente.
Di fronte ad una piccola storia come questa potete ben capire la mia ricorrente ‘insofferenza’ (ma si potrebbe più efficacemente chiamarla in altra maniera…) di fronte a personaggi che straparlano di ‘Milano capitale del jazz’ (ma ogni tanto escono di casa questi signori?), o di fronte alla trionfalistica pubblicizzazione a mezzo stampa di aulici editti ministeriali di ‘riconoscimento del valore culturale del jazz’: mi consentano, ma ce lo facciamo fritto il ‘riconoscimento culturale’ se questa musica non riusciamo a sentirla dal vivo nel quotidiano e costringiamo chi la crea ad un’attività sporadica e stentata, o spesso all’emigrazione in paesi meno inospitali del nostro verso la musica….
Sin qui ha parlato l’abitante di una città dove fuori dai portoni ben muniti e serrati dell’opulento ed arroccato Privato ben poco succede e si crea. Ma se dovessimo dare la parola al contribuente di una delle fiscalità locali più pesanti d’Italia che vede immobili di proprietà pubblica abbandonati al degrado da decenni? Nota bene, tra questi rientrano anche alcuni ex cinema, palesemente insuscettibili di alcuna ridestinazione a favoleggiati utilizzi commerciali ad opera dell’immobiliare privato, unico ‘deus ex machina’ tuttora in campo nell’evoluzione di questa città. Non bastano 10-20 anni di abbandono a consentire qualche modesta iniziativa di rivitalizzazione di questi luoghi (tra l’altro già strutturalmente predisposti), affidandoli ad operatori culturali di sperimentata esperienza che si facciano carico del loro ripristino, magari mobilitando energie sociali collettive che in città ci sono e di fronte a proposte serie rispondono, come ha dimostrato il citato caso del Cinemino? O forse è più importante non turbare l’ecosistema dei topi? Milton56
È così.
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