La Torre e l’Orchestra

Come forse ricorderete , io e gli altri amanti del suono orchestrale continuiamo a languire da tempo immemorabile per la scarsità di occasioni di ascolto – soprattutto dal vivo – di compagini che abbiano una loro plausibile e consolidata identità: figurarsi, in un circuito come quello italiano dove tanti nostri musicisti fanno di necessità virtù proponendosi in duo od in solo perché già un quartetto appare un kolossal produttivo,  l’idea di ascoltare orchestre – italiane o straniere che siano – è poi al di là dei limiti del concepibile.

Ma noi orfani della big band abbiamo la pelle dura e le orecchie ritte ed ogni tanto la costanza viene premiata. Mettiamo da parte il panorama internazionale (ma anche qui ho qualcosa in serbo per voi….), e guardiamo vicino a noi, in un luogo alla portata di molti: manco a dirlo si tratta del solito Torrione ferrarese, che per le multiformi apparizioni che vi hanno luogo ormai non stonerebbe sulla scena di qualche allestimento della ‘Tempesta’ shakespeareana.

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L’atmosfera è propizia alle apparizioni, come si vede….

Tra le molte attività del Jazz Club Ferrara una delle più rilevanti per la crescita della nostra scena jazzistica è quella di aver fatto da incubatrice alla Tower Jazz Composers Orchestra, ormai band residente del locale: mi sbaglierò, ma si tratta di un fatto pressocchè unico alle nostre latitudini, una grande formazione che ormai da qualche anno suona regolarmente nello stesso locale, da cui poi ha cominciato a spiccare il volo per trasferte a raggio sempre crescente, anche fuori dall’Emilia-Romagna. Questa circostanza, che nella nostra realtà jazzistica ha del miracoloso, ha delle intuibili implicazioni in termini di crescente affinamento e coesione dell’organico nel suo complesso, oltre a rappresentare una grande occasione di crescita – anche professionale – dei giovani musicisti coinvolti.

E’ un video amatoriale, ma dà un’idea dell’atmosfera che si crea intorno all’orchestra nel Torrione

Ma come diceva un apocalittico qualche giorno fa:  “Quelle note sono state scritte o suonate per i miei giorni. Nel jazz le suonano una sola volta e poi mai più. Sono meravigliosamente deperibili. ”. Spiacente, ma questo decadente crepuscolo di sapore vagamente dannunziano è rinviato a data da destinarsi per quanto riguarda la Tower Orchestra (abbreviamo un po’ per speditezza…): ho in mano il loro primo CD, pubblicato proprio qualche giorno fa. En passant, si tratta anche di oggetto graficamente raffinato, album grigio chiaro con accoppiati caratteri tipografici rosso pallido, fotografie a basso contrasto al limite della solarizzazione…. Aprendo il booklet si scopre che dietro la produzione, oltre al club ferrarese, figura una piccola platea di soggetti istituzionali che credo accompagnino l’orchestra sin dai suoi esordi, con la confluenza di due diverse esperienze: da contribuente lombardo comincio ad accusare qualche problemino di fegato… La realizzazione tecnica è a cura dell’Over Studio Recording di Cento (rimaniamo sempre in zona), che inaugura cosi una propria produzione discografica, appoggiandosi per la distribuzione alla Jazzos , sul cui  SITO è possibile acquistare l’album della Tower, che è peraltro disponibile anche in formato digitale QUI.

Alla registrazione partecipano direttamente più di venti musicisti, guidati da Alfonso Santimone e Piero Bittolo Bon, che contribuiscono non poco al book dell’orchestra, alimentato però anche da pezzi firmati da altri componenti ed uno anche da Filippo Vignato, uno dei numerosi ospiti che nel tempo la band ha accolto.

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.. a proposito di ospiti….

Nonostante la composita origine dei materiali, la Tower si presenta con un’immagine musicale molto coesa ed armonica, in cui molto rilievo hanno gli interventi vocali di Marta Raviglia: quasi tre anni di condivisione del palco mostrano qui i loro frutti. Ad onta del folto organico e della grande varietà della strumentazione disponibile, la Tower rifugge dai luoghi comuni della big band jazzistica, soprattutto di quelle un po’ estemporanee ed occasionali: niente facile ricorso a massicce dinamiche o colori molto brillanti e squillanti.

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L’ho inseguito per trent’anni: ci sono anche Eric Dolphy ed Ornette Coleman…

Viceversa il disco è caratterizzato da un’atmosfera molto omogenea ed unitaria: i membri dell’orchestra, ed in particolare gli autori dei temi dell’album, sembrano tutti condividere una comune inclinazione per una musica piuttosto avventurosa ed in alcuni passaggi direi alquanto sperimentale: mi sbaglierò, ma in molti momenti nelle stanze della Tower soffia un’aria che ricorda molto certa musica ‘progressive’ inglese dei primi anni ’70 (Canterbury e dintorni) ed in altri addirittura sembra giungere qualche eco della Third Stream di Gunther Schuller e co., primissimi anni ‘60. Certa interlocuzione di Marta Raviglia con l’orchestra mi ha poi ricordato un po’ il ‘Pre Bird’ di un Charles Mingus ancora deciso a far valere le sue carte di compositore, prima ancora che di leader di combos jazzistici. Lo sviluppo dei brani è molto vivace e variato, alternando marcate enunciazioni delle idee tematiche a momenti di improvvisazione collettiva: il tutto scandito da improvvisi cambiamenti di tempo e di clima espressivo che contribuiscono notevolmente alla vivacità di un risultato dove i passaggi di insieme accuratamente strutturati prevalgono su concise nicchie solistiche.

In conclusione, un ascolto alquanto intrigante e che porta gli echi di influenze e suggestioni che non sono proprio moneta corrente di questi tempi. ‘God save the Tower!’ (tutt’e due, quella di mattoni e quella di strumenti, naturalmente). Milton56

questo invece è il teaser ufficiale, un seduttivo biglietto da visita 

6 Comments

  1. Mannaggia, avevo scritto già quasi tutto il commento ed è sparito (mi si è aperta un’altra pagina e tornando indietro non c’era più).
    Dicevo che è un peccato non poter ascoltare musica jazz eseguita da “bands” (big or not), ma mi è tornato in mente il famoso Epitaph di Mingus. Lo abbiamo ascoltato al Teatro Brancaccio di Roma – nell’ambito di una rassegna intitolata “Jazz all’Opera” – nell’ormai lontano 1991 (tant’è che in rete sono riuscita a trovare traccia di quel bellissimo concerto solo nell’archivio storico de L’Unità – se vi interessa vi mando il link…).
    Il manoscritto originale, incompleto, danneggiato e frammentario, era stato ritrovato da Andrew Homzy solo nel 1985. Nel booklet del cd (1989) che poi abbiamo comprato ci sono tantissime notizie e storie interessanti scritte da Gunther Shuler (amico di Mingus dagli anni ’50), che ha affrontato in un duro lavoro di editing, ricostruzione e, per alcuni movimenti, ‘costruzione’ e completamento, per poi presentare il concerto – che durava oltre due ore, con un organico di trenta musicisti – al pubblico.
    Tuttavia, è lui stesso a pensare che “nessuno sappia veramente in quale arco di tempo sia stata composta quest’opera gigantesca in 18 movimenti, né quando siano stati scritti i singoli movimenti.” E che si potrebbe “non arrivare mai a conoscere tutti i dettagli della creazione di Epitaph”.
    Io purtroppo non riesco a capire tutti i dettagli tecnici che Shuler spiega nel libretto, né sapevo che si fosse ispirato alle innovazioni di Ellington per realizzare “extended forms” e al contempo integrare l’improvvisazione all’interno di ampie cornici compositive.

    P. S. Può darsi che ci sia qualche termine non proprio corretto perché ho tradotto qua e là dal libretto in inglese.

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  2. Ohiohi, in realtà la sezione ‘Contatti’ c’è. Ci si accede cliccando sul terzo pulsantino a destra (a forma di link o catena) tra quelli posti vicino al titolo del blog. Purtroppo la relativa mailbox è un po’ intasata da richieste varie, quasi sempre poco congruenti con finalità e filosofia della ‘testata’.
    Purtropponon siamo ubiqui, essendo pure volontari e dilettanti: ogni tanto dobbiamo anche andare un po’ in giro per raccontarvi quel che succede nel mondo. Per l’appunto, io sono appena tornato da una gran bel posto…. prossimamente su questi schermi. Milton56

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  3. Sono parecchio imbranata e se le opzioni non sono esplicite non ci arrivo. Così come non sono quasi mai congruente, neanche io, con finalità e filosofia della capocciata. Non sono “all’altezza” di questo sito. In compenso, mio marito vi segue con passione, molto più di quanto non segua il mio blog. Va bene così. Buon lavoro!

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  4. No, non sei tu che sei ‘imbranata’, è il blog che è in parte incompiuto e non rifinito. Del resto è ‘partito in corsa’, è stato un po’ come una scialuppa di salvataggio calata in mare nel bel mezzo di un naufragio (siamo alla terza reincarnazione di ‘Tracce’… preferisco non ritornare sulla sua storia perchè altrimenti a me ed a qualche veterano ci viene il fegato grosso così….): è logico che certi dettagli e funzionalità non ritenute urgenti siano stati lasciati un po’ da parte per concentrarsi sull’essenziale, cioè la continuità della proposta ai lettori. Considerate le nostre competenze di base in materia di IT (siamo prossimi allo zero, intendesi lo Zero Assoluto Kelvin, a -273 gradi ), che il blog si presenti con la veste attuale ha quasi del miracoloso (grazie WordPress…). Comunque, grazie del tuo commento su ‘Epitaph’ di Mingus e sulla sua riproposizione da parte di Gunther Schuller: mi ha dato un’idea per un post di imminente pubblicazione. Schuller, oltre ad esser stato valente compositore/arrangiatore e grande organizzatore di musica (ruolo importantissimo, questo), è stato anche un grande storico del jazz: aveva iniziato un’opera di notevole ambizione e dettaglio che in vari volumi è arrivata a coprire lo sviluppo della musica afroamericana sino all’Era delle Swing. Almeno sino a questo punto lo abbiamo potuto seguire qui in Italia con le traduzioni che da un certo momento in poi sono state curate dall’editore specializzato EDT. Purtroppo il lavoro di Schuller non ha carattere divulgativo, ed il suo rigore ed analiticità ne riserva la lettura ad un pubblico dotato di una notevole competenza in campo di teoria musicale, sob… comunque, se noi arriviamo a scriverlo, figurati se tu ‘non sei all’altezza’ di leggerlo, questo blog…. Milton56

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