La bella intervista a Giovanni Falzone del collega Andbar mi ha stimolato alcune riflessioni.
Innanzitutto la constatazione di quanto ancora siano precari, contorti e fortunosi i sentieri che da noi portano al jazz un giovane curioso: e notare che il racconto del trombettista siciliano non si sviluppa nell’Italia del primo ‘900, né men che meno nel ben noto Ventennio, bensì più prosaicamente nella post-moderna Italia anni ’90 (en passant, come si fa a diventare ‘post’-moderni quando non si è mai stati ‘moderni’? ineffabili misteri italici…). Vabbè, sforziamoci di vedere la metà piena del bicchiere ed inventariamo questa rocambolesca casualità nel libro mastro della mitologia jazzistica.
L’altro pensiero è corso alla Banda Musicale, una volta nucleo di aggregazione delle comunità anche più piccole e sperdute, oggi istituzione in grave declino, eccezion fatta per alcune aree geografiche, però molto significative, come si vedrà poi. La Banda vittima della ‘cattiva modernizzazione’ italiana? Lasciamo ai pensosi editorialisti della nostra Grande Stampa i pasolinismi formato Reader’s Digest (naturalmente postumi 😉 ). Stiamo ai fatti: giorni fa ad Orvieto (in arrivo cartoline anche da lì) mi è capitato di parlare con un simpatico signore che suona il clarinetto nella banda locale. Mi ha raccontato che lui ed i suoi colleghi si sono tassati per acquistare degli strumenti musicali, poi regalati a varie scuole del circondario. Il tutto nella speranza che qualche ragazzo si appassioni alla musica, ‘diversamente l’orchestra morirà con noi’ (sic!). Fossi il Ministro della Pubblica istruzione mi vergognerei un tantino, suonare insieme per piacere e diletto sarebbe esperienza formativa generale di grandissima importanza, soprattutto oggi … Ma già, a momenti dimenticavo, la ‘Pubblica Istruzione’ non esiste più, anticaglia ottocentesca opportunamente liquidata.
La Banda di Porcia, 1906
In passato, la Banda ha anche a suo modo sopperito alle tante latitanze della scuola italiana in materia di educazione e pratica musicale popolare ed amatoriale, certo impossibili da fronteggiare con le limitate risorse e dimensioni di istituzioni come i Conservatori, in sostanza degli istituti professionali della musica orientati in tutt’altra direzione.
Non solo, ma ha a lungo presidiato da sola una tradizione di musica strumentale in un paese la cui cultura sonora è da tempo immemorabile dominato da una straripante predominanza della musica vocale, e ciò sia in ambito accademico che di musica popolare, o meglio di musica di consumo di massa (così come attentamente costruita da un’agguerrita industria soprattutto nel secondo dopoguerra): non è un mistero che nel senso comune italiano ‘musica’ e ‘canzone’ siano pressocchè sinonimi.
Altro merito dell’umile Banda è stato quello di tener viva una certa, limitata tradizione di musiche per fiati ed ottoni: i miei ricordi di ex frequentatore di concerti sinfonici invariabilmente mi riportano l’immagine di orchestre italiane spesso ben coese ed anche di apprezzabile personalità se ci si soffermava sulle sole sezioni degli archi, e che viceversa rivelavano palpabili carenze in quelle dei fiati, meno rodati ed affiatati a causa della dominante pratica del repertorio lirico. Già il confronto con altre formazioni europee era critico a riguardo, quello con le grandi orchestre americane poi del tutto improponibile. Nessuno mi leva dalla testa che questo ‘tallone d’achille’ costituisca anche uno dei motivi della scarsa presenza nei programmi delle nostri istituzioni sinfoniche di pagine orchestrali post-romantiche e novecentesche (ivi comprese quelle di compositori italiani, ormai quasi dimenticati).
Francesco Cafiso non dimentica che anche a New Orleans hanno iniziato marciando…..
Come dimostra la storia di Falzone, viceversa il nostro jazz è debitore alle Bande sotto diversi profili: in primo luogo quello di aver fatto da incubatrice a vari talenti, come a suo tempo Gian Luigi Trovesi, giusto per fare un nome, talenti che non a caso non hanno mai dimenticato i loro primi passi in divisa e nelle strade dei loro luoghi d’origine. Per tacere del fatto che in molte delle più recenti e brillanti espressioni jazzistiche nostrane volte a ricercare autentiche radici nelle nostre tradizioni di musica popolare (quella vera, non quella di ‘consumo’, ribadisco il punto) l’ eco della tradizione delle musiche bandistiche è riemersa di prepotenza: si pensi ai notevoli ‘Extemporary Vision Ensemble’ di Francesco Chiapperini e a ‘La Banda’ di Francesco Cafiso.
Le roventi ‘istantanee in musica’ della Puglia di Chiapperini, una delle cose migliori del nostro jazz degli ultimi anni
Cafiso viene dalla più profonda provincia siciliana, come Falzone; Chiapperini è di origini pugliesi, orgogliosamente rivendicate e ricordate anche dopo anni di vita e lavoro al Nord: sarà un caso che questa Sicilia e questa Puglia che negli ultimi tempi tanto hanno dato al nostro jazz più giovane e fresco siano ancora tra i pochi luoghi nelle cui piazze risuonano ancora gli ottoni delle bande? Milton56
E dalli, un’altra ‘fissata’ con la Banda. 1967, Mina canta Chico Barque de Hollanda…. Eh, poverina, lei non ha avuto la ‘meravigliosa opportunità’ di formarsi nei Talent, lei è cresciuta nei dancing della Bassa …altro che balle 😉 !!
Negli ultimi 30/40 anni molti jazzisti italiani hanno recuperato un proficuo rapporto con la banda. Basta qui ricordare Pino Minafra (https://www.youtube.com/watch?v=bSX75BduoSo) per il sud Italia e il purtroppo defunto festival jazz di Clusone che a più riprese, e con pubblicazioni discografiche, ha coinvolto la banda del paese con musicisti differenti, dallo stesso Minafra a Eugenio Colombo (https://www.youtube.com/watch?v=lciuBpVfl1A ) e Gianluigi Trovesi . Sono stato testimone dei concerti, tutti a loro modo indimenticabili, e forse uno dei punti massimi del festival nel rapporto con gli abitanti di Clusone.
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… i concerti di Clusone: ecco un’altra importante funzione della tradizione bandistica, fare da ponte tra la cultura musicale popolare ed un’altro genere eminentemente strumentale come Il jazz…. A proposito di ‘ultime spiagge’ delle Bande, a momenti mi dimenticavo delle valli bergamasche… grazie per il promemoria. Milton56
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