In orbita nell’universo di Michael Wollny

Stanno venendo alla luce, sporadicamente, opere musicali concepite ed eseguite nel periodo di lockdown. Sono creature che risentono del clima surreale del periodo, talora ancora agganciate ad una parvenza di ordinarietà, perché magari sviluppate un attimo prima del blocco totale, più spesso segnate dal condizionamento domiciliare degli autori. Musiche concepite in isolamento (Jamie Saft), create a casa (l’imminente Fred Hersh) o trasmesse dal salotto (Bill Frisell), che testimoniano lo sfogo creativo di artisti costretti ad inventare nuovi palcoscenici per raggiungere il proprio pubblico. Quella del pianista tedesco Michael Wollny e del suo disco di piano solo “Mondenkind” è una storia ancora più originale. Per il quarantaduenne Wollny, artista di casa presso l’etichetta ACT, come per tanti pianisti, dopo tanti anni di registrazioni e concerti principalmente con il proprio trio jazz (Christian Weber al contrabbasso ed Eric Shaefer alla batteria), l’inizio del 2020 era sembrato il periodo propizio per cimentarsi con la registrazione di un set in pianoforte solo.

Il momento programmato per registrare, nell’Aprile 2020, venne però a coincidere con la fase di maggior rigore nell’applicazione del lockdown. “La situazione era surreale – racconta Wollny – ho passato due giorni nello studio Tendex di Berlino senza altri musicisti accanto, una situazione inedita per me. Ero solo in auto nella strada per gli studi, mentre mi spostavo in una città deserta, ed alla sera tornavo in un hotel vuoto, non solo senza ospiti, ma anche privo di personale. Ero assolutamente solo con me stesso e la musica,  e quella situazione anomala orientò l’idea originale della registrazione di un piano solo in una direzione inaspettata. Mi venne in mente la storia dell’astronauta Michael Collins, uno dei  protagonisti della missione Apollo 11, lasciato solo ad orbitare introno alla Luna e per 40 minuti e 38 secondi del tutto privo di contatto con la Terra. Mi sono immedesimato in quell’esperienza, ed ho deciso di fare il mio viaggio solitario esattamente per la stessa durata, prendendo a prestito il titolo Moonchild (“Mondenkind” in tedesco) da una espressione usata dallo scrittore Michael Ende nel romanzo“La storia infinita”, per significare la creazione di  un mondo di fantasia da parte del protagonista. Proprio quello che fa ogni musicista quando registra un nuovo lavoro, ed in particolare un lavoro solista”.

Nell’universo creato dal pianoforte di Wollny, registrato negli ampi spazi dello studio berlinese senza alcun effetto elettronico, orbitano tanti pianeti diversi, alcuni dalla superficie morbida e levigata (le riletture di “Father Lucifer” di Tori Amos, di “Velvet gloves and split” dei folkers canadesi Timber timbre, di “Mercury” di Sufjan Stevens, altri ricchi di asperità ed ombre, comeSchliessemir die Augen beide di Alban Berg e le “Sonatine nr.7/ 2.Staz” di Rudolf Hindemith o l’originale “Sageè”, dalle atmosfere vicine alla classica contemporanea. Ci sono ampi spazi panoramici (“Tale”), visioni claustrofobiche e misteriose che si aprono progressivamente (“Mondenkind”) ed arcani meccanismi in movimento (“Un animal imagine par melies”). “Spacecake” è l’episodio più informale e quello in cui il linguaggio del pianoforte di Wollny pare intraprendere i sentieri più avventurosi ed accidentati per finire la propria corsa in un fragoroso crash acustico. C’è, in sostanza, in Mondenkind, e nella sua riflessione sulla solitudine, tutto il mondo dell’artista tedesco, rappresentato senza veli ed in continua oscillazione fra poli emotivi antitetici, dall’ermetismo alla luminosa espressività. Un’ opera non semplice, ma che, come poche altre, permette di entrare in contatto con il mondo  più intimo del suo autore tramite un volo diretto.

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