CONSIDERAZIONI DI UN IMPOLITICO – 1 ‘Una casa aperta’

Ahimè, non l’ho letto questo libro che Thomas Mann cautamente epurò dalla sua opera omnia. La difesa a spada tratta della spirituale ‘Kultur’ tedesca contro la ‘Zivilization’ utilitaria  e calcolatrice delle potenze dell’Intesa già stonava nel 1918 quando già il militarismo feudale prussiano aveva già dato pessime prove di sé, ma si trattava solo di un preludio che sarebbe addirittura impallidito a confronto con quello che seguì non molti anni dopo. Ma allora il Grande Tedesco si era già speso nella vana difesa della fragile Repubblica di Weimar, abbandonando poi la Germania per il lungo esilio americano.

Questo per dire che ci si può trovare a dire cose sentite e necessarie (Mann non rinnegò mai il suo libro), e proprio malgrado ritrovarsi magari in cattiva e comunque indesiderata compagnia. Ciò non toglie che in certi momenti sia necessario dirle.

Questo libro di Mann mi è tornato in mente dopo la querelle nata intorno alle ‘cronache marziane’ del collega Pepe, che commentava un resoconto/recensione sull’edizione 2020 di S.Anna Arresi. Prescindendo dal fatto che un po’ di sana ironia è moneta fuori corso di questi tempi (ma non per questo noi ci rinunzieremo, perché fa parte del nostro DNA), l’ effimera (e tragicomica) diatriba mi ha stimolato delle riflessioni che da tempo mi ronzavano per la testa e che sento necessario condividere, anche se forse per molti risulteranno intempestive ed ‘impolitiche’, appunto. Anche perché sono sottese a molto di quello che scrivo io, e forse anche gli altri compagni di Tracce. Per non tediare troppo, ed anche per mantenerne il necessario carattere informale e discorsivo, le ridurrò in digeribili pillole che somministrerò ad adeguati intervalli. Cominciamo.

Una casa ‘aperta’

Il jazz è da decenni una casa ospitale, una ‘casa aperta’ come quelle degli anni ’70 dove si entrava e si usciva affascinati dal movimento e dalla compagnia, spesso senza nemmeno sapere chi fosse il padrone di casa. Attira molti ospiti esterni che, quand’anche non pienamente identificati con il suo spirito ed il suo mondo, trovano comunque affascinanti i suoi procedimenti, la sua relazione con il pubblico. Ben vengano, la porta è sempre aperta, sia in entrata che in uscita, anche se talvolta il jazz ben poco ha ricavato da certi ospiti effimeri, che peraltro quasi mai sono usciti a mani vuote. Ma tant’è,  tutto va nella valigia dell’esperienza, e prima o poi potrebbe tornar utile.

Steve Lacy, autentico Mosè dell’avanguardia anni ’60, comincio’ così….

Ma da diversi anni a questa parte tra questi ospiti si annoverano soprattutto alcuni critici, meglio ‘scrittori di cose musicali’, preferisco, che guardano al jazz essenzialmente come ad una sorta di ‘scatola vuota’ da riempire, cioè come un insieme di procedimenti, di forme e di approcci alla musica: questi ospiti sono però accomunati da una certa insofferenza per il fatto che il jazz sia una cultura stratificata, abbia una storia, abbia sue linee evolutive che continuano a riemergere attraverso rivolgimenti e metamorfosi, e paradossalmente ciò avviene con più forza e con risalite più profonde ad epoche apparentemente remote e dimenticate quanto più le svolte sono radicali. Di qui il tentativo di riempire di diversi contenuti le ‘forme’ del jazz, giudicando con criteri del tutto esterni ed estrinseci quello che si fa in continuità con la sua storia e la sua cultura (e spesso con esiti innovativi di largo respiro e di compiuta riuscita estetica).

Che dire? Nella casa ospitale si può pure accogliere qualche ospite un po’ ingombrante e un po’ pretenzioso, che però dovrebbe avere il savoir faire di non entrarvi con la pretesa di buttare la modesta mobilia dalla finestra, magari per infilare poco dopo la porta e ritornare al proprio domicilio. Soprattutto se quest’ultimo è bene arredato, ben tutelato da solidi portoni accuratamente serrati e dove, non foss’altro che per metus accademico, a nessuno verrebbe in mente di comportarsi da ospite birichino ed invadente. Appartamento ancor più confortevole grazie all’affitto già pagato: la ‘casa aperta’ del jazz invece è perennemente sotto minaccia di sfratto, come ci rammentano le cronache di questi mesi (non solo italiane…). Ma quest’appartamentino così trafficato, pieno di spifferi e di scomodità, ha una caratteristica: le sue finestre sono sempre aperte sul Mondo, raccontandocelo con tutti i suoi fragori e contrasti. Cosa che non mi sembra si possa dire dell’altro, quantomeno da svariati decenni a questa parte. Ed è per questo che il nostro avventuroso quartierino non lo cambieremmo mai con l’altro, anche se non figurerà mai su di una patinata rivista d’arredamento…. Alla prossima. Milton56

Lester Bowie e Fontella Bass con il soul si erano comprati una Bentley ed una bella villa. Solo grazie al gruzzolo ricavato dalla vendita dei medesimi, il futuro Art Ensemble of Chicago potè partire per la mitica avventura parigina. Senza la quale probabilmente non sarebbe mai divenuto quello che è stato. E Lester il soul lo ha sempre portato con sé, come si può constatare da questa performance del 1984….

 

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